Il teatro brasiliano, per motivi coloniali, si ispira al teatro europeo ma, come tutti i teatri, e soprattutto come tutto in Brasile, prende le proprie caratteristiche e peculiarità della terra Pindorama. Il Brasile, per la distanza geografica e per la grande mescolanza di culture presenti al suo interno, trae spesso ispirazione dall’esistente, riportandolo nel contesto brasiliano ma in modo quasi sempre più libero e popolare. Questo accade nell’arte, nella cucina e purtroppo anche nella politica e nella criminalità. Ciò però si vede in particolare nel teatro e nella musica, arti eclettiche e diversificate. Viene quindi naturale fare un parallelo tra il Samba e il teatro.
La nascita del teatro (tradizionale) brasiliano non è un evento particolarmente sereno. Il Brasile è stato scoperto dai portoghesi e colonizzato nel XVI secolo (almeno questo è ciò che raccontano gli europei – per i popoli nativi di queste terre, non si tratta di una scoperta, bensì di un’invasione e un genocidio). Nelle caravelle colonizzatrici erano presenti anche cattolici gesuiti, giunti per catechizzare i popoli nativi infedeli e portare anche in questi territori la storia di Gesù. Una storia accaduta più di millecinquecento anni prima, a ventimila chilometri di distanza e in un lontano “medio oriente”, un contesto totalmente diverso dal tropicale mondo delle giungle tupiniquim. Ciò fu causa della distruzione di una religione, una cultura e una lingua caratteristiche di quel tempo e quel luogo. Tra questi Gesuiti, il più famoso fu Padre Anchieta. Amante dell’arte europea, egli usava il teatro per raccontare la vita di Gesù, un teatro oppressore. Si metteva in scena il presepio, la nascita di Gesù, i suoi miracoli, la sua morte. Peccato (letteralmente)! Magari Padre Anchieta avesse imparato l’arte indigena! Egli almeno aveva però imparato la lingua del posto, la lingua Tupi, che venne poi proibita dagli stessi gesuiti portoghesi nei secoli successivi. “Magari gli indigeni avessero spogliato i portoghesi, invece furono questi ultimi a coprire gli indigeni.” (Erro de português, Oswald de Andrade, 1927). Niente è più opprimente di una colonizzazione, della distruzione di una cultura e di un popolo che già aveva propri dei da adorare, proprie tradizioni e rituali, un proprio teatro. Per questo all’inizio del paragrafo parliamo di “teatro tradizionale brasiliano”: il teatro, secondo questa visione, non è stato creato ma appartiene all’essere umano da quando egli esiste. L’essere umano è teatro da quando vive in società. Il teatro è la collettività dell’individuo, è intrinseco della specie umana. Questo pensiero è però in disaccordo con la credenza che il teatro sia nato nella Grecia Antica.
Questa forma colonizzatrice, oppressiva di una cultura, è prioritaria nell’arte brasiliana fino al diffondersi di due movimenti artistici “antropofágici”: La “Semana di Arte Moderna del 1922” e la controcultura antidittatura del “Tropicalismo” degli anni Sessanta.
All’inizio del XX secolo, alcuni artisti brasiliani si ribellarono all’imposizione di dover seguire i movimenti artistici europei e iniziarono a cercare ispirazione nelle tradizioni locali. L’apice di questa rivoluzione accadde tra il 13 e il 17 febbraio 1922 nel Teatro Municipal de São Paulo durante la Semana di Arte Moderna de 22. Un evento che cambiò definitivamente la cultura e la società brasiliana.
Ispirandosi alle avanguardie europee (futurismo, cubismo, dadaismo, surrealismo, espressionismo) e iniziando ad apprezzare l’identità e la cultura brasiliana, diversi artisti cambiarono il loro modo di vedere il mondo. “Tupi or not Tupi, that the question!” I pittori brasiliani Di Cavalcanti, Anita Malfatti e Tarsila do Amaral iniziarono ad inserire nei propri quadri visi e colori del Brasile. Victor Brecheret riproduce l’uomo brasiliano nelle sue sculture. L’attore Ronald de Carvalho legge il poema Os Sapos (le rane) di Manuel Bandeira. Il pubblico tradizionale paulistano fischia e non apprezza questa lettura. Nell’ultimo giorno, con un pubblico ridotto, il compositore carioca Heitor Villa-Lobos suona al pianoforte in frac e pantofole. Un oltraggio suonare in queste condizioni! In realtà egli usò le pantofole a causa di un’unghia incarnita. Heitor Villa-Lobos fu comunque un grande esempio di questa nuova arte, un’arte che ricercava i valori della terra nel quale era nata. Le sue musiche riproducevano infatti i suoni del Brasile. Leggenda narra di un suo viaggio in Amazzonia alla ricerca di un uccello il cui canto produceva, a suo dire, la melodia più bella al mondo: o canto do Uirapuru.
L’arte più coinvolta in questa rivoluzione fu però la letteratura. Scrittori come Guilherme de Almeida e Mario de Andrade saranno eternamente influenzati da queste nuove idee. Il nome più polemico del movimento fu certamente Oswald di Andrade, scrittore, tra le altre cose, anche di spettacoli di teatro popolare. Tra queste drammaturgie abbiamo O Rei da Vela, uno spettacolo che mette in scena la falsità della società borghese di San Paolo dopo la crisi del 1929. Scritto nel 1933, lo spettacolo andò in scena solo nel settembre 1967, diretto da José Celso Martinez Correa nel Teatro Oficina. Secondo José Celso, il Rei da Vela ha ri-rivoluzionato il teatro brasiliano.
Nel 1961, Janio Quadros viene eletto presidente del Brasile ma, dopo solo 207 giorni di governo, si dimise in un tentativo goffo di golpe per poi fuggire, lasciando l’incarico all’unico presidente comunista che il Brasile abbia avuto: Joao Goulart, detto Jango. Un presidente comunista amico del cinese Mao Tse Tung e vicino all’Unione Sovietica, cosa non apprezzata dagli Stati Uniti i quali appoggiarono il golpe militare del 1964. Il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco divenne presidente del Brasile e Jango venne esiliato in Uruguay (secondo alcune versioni, Jango verrà poi avvelenato della Cia e morirà in Argentina nel 1976).
È in questo scenario di trasformazione radicale della cultura e della politica del Brasile che sorge uno dei maggiori movimenti di controcultura e rivoluzione dell’arte brasiliana. Questa volta la musica ne è protagonista, passando dalla leggera e soave bossa-nova alla forte MPB – Musica Popular Brasileira. Chico Buarque, Edu Lobo, Caetano Veloso, Elis Regina, Gilberto Gil, Os Mutantes, Nara Leão, Milton Nascimento, Jair Rodrigues e Geraldo Vandrè sono alcuni dei nomi visti sul palco del Teatro Record durante il Festival da Canção, un Sanremo brasiliano con una maggiore partecipazione del pubblico (“Viva a Vaia”). Le canzoni diventano il principale modo di difendere e diffondere la cultura della libertà, in opposizione alla dittatura militare. Anche cinema e teatro partecipano a questo movimento: il primo con il Cinema Novo di Glauber Rocha mentre nel teatro abbiamo due nuove e interessanti realtà: Il Teatro Oficina e il Teatro de Arena.
Il Teatro Oficina fu condotto dall’esotico, erotico e libertario José Celso Martinez Correa. Dopo il golpe militare del 1964 gli spettacoli iniziarono ad essere censurati a causa dei loro contenuti politici mentre il 31 maggio 1966 il teatro fu distrutto da un incendio (casuale o doloso?). Il giorno dopo, circa ottanta artisti si recarono davanti al teatro danneggiato pronti ad offrire uno spettacolo per raccogliere donazioni da destinare alla ricostruzione dello spazio. Tra loro anche Ari Toledo e Jô Soares, molto famosi al tempo. La rinascita del Teatro Oficina avvenne con lo spettacolo O Rei da Vela di Oswald di Andrade con Zé Celso alla regia, mentre nel 1968 il Teatro Oficina sfidò la dittatura militare con lo spettacolo Roda Viva di Chico Buarque de Hollanda.
Il Teatro de Arena nasce invece nel 1953 dal grande attore e direttore José Renato grazie a spettacoli di commedia accessibili al popolo semplice e cresce economicamente e di pubblico nel 1958 con lo spettacolo Eles não usam Black-Tie del teatrante Gianfrancesco Guarnieri, originario di Milano ma spostatosi in Brasile nel 1936, a soli due anni. Negli anni oscuri tra il 1965 e il 1968 Gianfrancesco Guarnieri e Augusto Boal, portarono in scena due spettacoli che affrontavano la dittatura militare: Arena Canta Zumbi e Arena Canta Tiradentes. Arena Canta Zumbi, con la musica di Edu Lobo, debutta nel 1965 raccontando di un personaggio scomodo della storia brasiliana, tra l’eroe e il villano, ovvero Zumbi, uno schiavo fuggitivo che fondò e guidò un quilombo (un villaggio nel mezzo della giungla dove gli schiavi neri fuggiti alla ricerca di libertà vivevano nascosti). Di seguito è riportato il testo scritto da Augusto Boal, Gianfrancesco Guarnieri e dal direttore musicale Carlos Castilho, presente nel retro di copertina del vinile con il contenuto dello spettacolo: “In questo momento, in Brasile, è in atto una vera rivoluzione estetica, la prima autenticamente brasiliana. Altri movimenti importanti sono avvenuti sicuramente in precedenza, ma riflettendo, e spesso tardivamente, identici fenomeni avvenuti all’estero. L’arte brasiliana più avanzata oggi non segue le mode, gli stili o i modi di fare, che fioriscono nelle metropoli. È un’arte che nasce dall’uomo che cerca, lottando e perdendo e ancora lottando, per conquistare la sua posizione di suddito, un’arte in cui le barriere tra stili e generi vengono distrutte, così come vengono distrutte le barriere tra un’arte e l’altra.”
Il Teatro de Arena andò bene fino all’inizio degli anni 70. Nel 1971 Boal fu arrestato e torturato e, esiliato in Argentina (terra originaria della moglie), scrisse il Teatro do Oprimido e outras Poeticas Politicas, in Italia chiamato Il teatro degli oppressi. Quello che fu il suo libro teorico più conosciuto, conteneva una serie di testi scritti tra 1962 e 1973, con esperimenti fatti in Argentina, Chile, Venezuela e Perù. In gran parte, il volume è ispirato a La pedagogia degli oppressi, un libro scritto dal pedagogista e amico di Boal, Paulo Freire, il quale non necessita di presentazioni.
Il libro di Boal è diviso in quattro parti. Nella prima parte, intitolata “Il tragico sistema coercitivo di Aristotele”, Boal racconta di come in origine vi era il “Canto Ditirambico” in cui tutti, essendo uguali, partecipavano ballando insieme e liberi all’aperto, qui il popolo era sia il creatore che il destinatario dello spettacolo. Come specchio dell’ideologia dominante, avvenne poi una prima divisione tra attori sul palco e spettatori passivi in platea e poi una seconda divisione tra i protagonisti (aristocratici) e il coro (il popolo). “Il tragico sistema coercitivo di Aristotele” spiega come funziona questa modalità di teatro e come avviene questa trasformazione. “Maquiavel e a Poética da Virtu” è il secondo capitolo. Nelle opere di Machiavelli, i protagonisti non sono più oggetti di valori morali ma diventano soggetti multidimensionali, individui eroici e distanti dal popolo quanto lo sono i nuovi aristocratici. Nel terzo capitolo “Hegel e Brecht: Personagem-sujeito ou personagem-objeto?” vi è una valorizzazione del pensiero dell’individuo sociale come incipit dell’argomentazione.
Il teatro è sempre usato dalle classi dominanti per opprimere il popolo. Finalmente nell’ultima parte, Boal scrive riguardo a esperienze pratiche e laboratori fatti nel Teatro Popolare del Perù, qui egli dimostra la sua avversione nei confronti della parola “spettatore”, in quanto passivo e nascosto. Boal vuole portare queste persone all’interno dello spettacolo, trasforma lo spettatore in spett-attore, distrugge il confine tra protagonista e coro e sperimenta il sistema coringa (jolly), dove tutti possono essere e provare ogni ruolo nella drammaturgia.
Nel libro Augusto Boal non parla molto delle tecniche di teatro quali il Teatro forum e il Teatro invisibile, che verranno invece descritte nei suoi libri successivi, ma si concentra nell’esprimere le sue idee riguardo il Teatro dell’Oppresso. Tutti i teatri sono necessariamente politici, perché politiche sono tutte le attività dell’uomo, e il teatro è una di queste. Il teatro è un’arma molto efficace, per questo dobbiamo lottare per esso e per la conquista dei mezzi di produzione teatrale. Le classi dominanti cercano costantemente di appropriarsi del teatro e di utilizzarlo come strumento di dominio. Così facendo, modificano il concetto stesso di teatro. Ma il teatro può essere anche un’arma di liberazione. Per questo è anche necessario aprirsi a nuove forme teatrali e accettare queste trasformazioni.
Il teatro degli oppressi si basa sull’idea che siamo tutti teatro, anche se non facciamo ufficialmente teatro. Essere teatro è diverso dal fare teatro. Fare teatro significa esercitare una professione che lavora con il teatro (attore, costumista o scenografo) ma essere teatro, questo lo siamo tutti. Essere teatro è essere umani. L’essere umano porta dentro di sé l’attore e lo spettatore di sé stesso. Spettatore privilegiato perché è l’attore di sé stesso, ma è anche il drammaturgo che scrive il testo recitato, il regista, il costumista che sceglie i propri abiti. L’essere umano è in sé l’intero teatro.
Augusto Boal, andò in esilio per fuggire alla dittatura militare del Brasile dal 1971 al 1986. Prima in Sudamerica (Argentina, Chile, Perù), poi in Europa (Francia, Inghilterra e Portogallo) per tornare in Brasile solo dopo la fine della dittatura nel 1986. Nel 1976, esiliato in Portogallo, Augusto Boal riceve grazie a sua mamma appena arrivata dal Brasile, una lettera da Chico Buarque: conteneva una cassetta con la registrazione della canzone Meu caro Amigo. Il testo della canzone dava notizia di un Brasile dove, come si diceva: “la cosa qui sta nera”, gergo d’epoca “a barra mais pesada” (la situazione più pesante, più difficile), riferimento diretto alla dittatura militare. I militari controllavano le lettere e leggevano i messaggi in cerca di ciò che andava contro il “sistema”, così Chico Buarque ebbe l’idea di mandare informazioni nascoste nel testo di una canzone. Durante l’ascolto, insieme ad Augusto Boal vi erano due grandi suoi amici: il sociologo Darcy Ribeiro e il famoso pedagogista Paulo Freire. Alcune delle più grandi menti brasiliane sentirono la voce di Chico Buarque raccontando, o meglio, cantando notizie della loro patria.
Meu caro amigo, me perdoe, por favor
Se eu não lhe faço uma visita
Mas como agora apareceu um portador
Mando notícias nessa fita
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
Muita mutreta pra levar a situação
Que a gente vai levando de teimoso e de pirraça
Que a gente vai tomando e também sem a cachaça
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu não pretendo provocar
Nem atiçar suas saudades
Mas acontece que não posso me furtar
A lhe contar as novidades
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
É pirueta pra cavar o ganha-pão
Que a gente vai cavando só de birra, só de sarro
Que a gente vai fumando e também sem um cigarro
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu quis até telefonar
Mas a tarifa não tem graça
Eu ando aflito pra fazer você ficar
A par de tudo que se passa
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
Muita careta pra engolir a transação
E a gente tá engolindo cada sapo no caminho
E a gente vai se amando que também sem um carinho
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu bem queria lhe escrever
Mas o correio andou arisco
Se me permitem, vou tentar lhe remeter
Notícias frescas nesse disco
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
A Marieta manda um beijo para os seus
Um beijo na família, na Cecília e nas crianças
O Francis aproveita pra também mandar lembranças
A todo o pessoal, adeus
Tornato in Brasile, Boal si stabilì a Rio de Janeiro. Nella Città Meravigliosa, dal 1992 al 1996 partecipò al consiglio comunale di Rio de Janeiro dove perfezionò il “Teatro legislativo”, variante del suo impegno socio-teatrale con il pubblico, che mette in scena i problemi delle persone della città attraverso tecniche teatrali, per poi elaborarne proposte di legge. Tra fine anni 90 e i primi anni del XXI secolo, le idee e la tecnica teatrale di Augusto Boal si diffondono in tutto il mondo. Nel 2009 fu candidato al Premio Nobel per la pace e, nello stesso anno, l’UNESCO gli conferì il titolo di World Theatre Ambassador. Boal morì di leucemia a Rio de Janeiro il 2 maggio 2009, a 76 anni.
Uno dei modi che Augusto Boal utilizza per rappresentare il suo teatro è l’Albero del Teatro dell’Oppresso. Ne esistono diverse versioni in diverse lingue. L’artista Stefania D’Amato ha realizzato una sua interpretazione, in italiano, dell’Albero dell’Oppresso per La Libera Università degli Studi del Samba di Brescia.
Etica e Solidarietà sono le basi che sostengono l’albero. Parole, Suoni e Immagini, attraverso i Giochi, si diramano nelle diverse modalità e tecniche del Teatro dell’Oppresso. Presentiamo alcune di queste ramificazioni:
Il Teatro giornale è uno spettacolo che insegna a fare spettacolo: esso trasforma il giornale del giorno in uno spettacolo teatrale in cui però non vi sono solo attori ma gli stessi spettatori ne diventano i protagonisti. Nel Teatro immagine viene invece utilizzato il corpo per rappresentare concetti, ogni individuo fa parte di un’immagine collettiva. Il Teatro legislativo è un teatro istituzionale, una ferramenta con cui creare leggi e politiche pubbliche per il bene sociale.
La modalità del Teatro dell’Oppresso più conosciuta è però il Teatro forum. Una drammaturgia simultanea dove gli spett-attori interferiscono nella costruzione della storia. Inizialmente il confronto accadeva dopo lo spettacolo, a partire dalla richiesta da parte del pubblico: “Vogliamo forum!”. per discutere insieme sui temi della rappresentazione. L’idea di Boal fu quella di inserire questa pratica all’interno dello spettacolo. Dopo aver messo in scena la storia fino ad un determinato momento critico, il regista ferma l’azione e chiede al pubblico che direzione la storia dovrebbe prendere. L’apice del Teatro forum si raggiunge quando il pubblico prende il posto dell’attore ed inizia a creare autonomamente lo spettacolo. Ciò è ad esempio accaduto in una leggendaria scena del 1974 in cui una grande e forte signora nera sostituì l’attrice per vendicarla di un tradimento subito da parte del personaggio protagonista. Boal racconta di questo evento in un’intervista: “Lei entrò in scena ed era allo stesso tempo personaggio e persona. 100% lei stessa e 100% personaggio. Quella donna interpretava quella donna. È una cosa bellissima quando lo spettatore, non concordando con ciò che accade in scena, interviene per cambiare l’azione”.
Il Teatro invisibile potrebbe invece essere la tecnica più interessante per chi legge questo testo, (o questa tesi della Libera Università degli Studi del Samba di Brescia). Il Teatro invisibile letteralmente non si vede, le persone non si accorgono che ciò che sta accadendo è in realtà teatro. Si potrebbe chiamare anche flash mob, con la differenza che in quest’ultimo, ad un certo punto, ci si accorge della presenza di uno spettacolo e si inizia a filmare per postare sui social. Il Teatro invisibile è tale quando nessuno se ne accorge. Lo incontri inconsapevolmente e può cambiare la tua vita, la tua visione del mondo o l’intera società. E adesso, infine e in fine, possiamo rivelare il nostro segreto: la Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è una forma di Teatro invisibile. Ogni articolo scritto, ogni lezione di Samba, ogni laurea consegnata è parte dello spettacolo in cui il magnifico rettore, i professori, gli studenti e i laureati sono i personaggi. Uno spettacolo virtuoso nell’arte dell’imparare, insegnare, divulgare cultura, del mettere insieme le persone per fare arte e fare teatro. Questo testo, questa tesi, questa drammaturgia, oltre ad essere Teatro invisibile, è soprattutto “Letteratura invisibile”.
Testo di Elisa Bonzi e Marcelo Sola
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