mercoledì 20 marzo 2024

Il Samba è nato nella Sardegna

 

Il Samba è nato in Sardegna                         

(Racconto di Marcelo Sola e Marco Meloni)                                                                                                                      

 

Era l’autunno del 1915 quando Samuele Basciu decise di lasciare la sua amata Cagliari per trasferirsi in America. Fece ciò consapevolmente, il suo cuore era fuori controllo e la Sardegna era troppo piccola per ospitare lui e il suo grande amore, Roberta Garau. Ancor peggio era pensare che anche lei forse lo amava, ma era in procinto di sposarsi con Riccardo Murru, molto più ricco, molto più famoso di lui e appartenente ad una delle famiglie più tradizionalmente note dell'Isola. Le cose andavano così in quegli anni, i matrimoni non avvenivano solo per amore, gli accordi matrimoniali tra le famiglie rinomate erano un'usanza e non aveva senso che quella ragazza bellissima e piena di grazia si sposasse con un pescatore musicista. I pescatori sono sempre stati gente semplice in Sardegna e i musicisti sono sempre stati scartati dall'esser scelti come mariti per le ragazze di famiglie in vista, nella zona cagliaritana a quel tempo.

(Spiaggia del Poetto - 1915)

Samuele ancora ricordava come l'aveva conosciuta. Era seduto nel tavolo esterno del bar del suo amico Piero, con gli amici Marco e Marcello, quando l'aveva vista a passeggio sul mare, col suo corpo dorato dal sole della spiaggia del Poetto. Poeta diventò lui che appena la vide passare si ispirò e compose una canzone in suo omaggio. Una canzone bella, diversa, ricca di armonia, ma soprattutto con un ritmo nuovo, leggero e swingato, che secondo Samuele non era niente di diverso rispetto al dondolarsi quando passeggiava.

Era passato più di un mese quando Samuele ebbe la rara e inaspettata opportunità di mostrare la propria musica a Roberta. Samuele era seduto sul gradino della scaletta d'ingresso di un casotto nella spiaggia del Poetto, posto che in quel tempo quasi nessuno frequentava nel tardo pomeriggio. Era un luogo in cui veniva sempre con la chitarra, per suonare e comporre. Era il suo luogo di meditazione e viaggio interiore.

In quegli anni nella spiaggia del Poetto alcune famiglie avevano costruito i cosiddetti “casotti”. Si trattava di piccole costruzioni in legno, colorate nelle tonalità più varie, erano composti da due o tre stanze. Samuele talvolta suonava la chitarra seduto sui gradini di legno di un casotto color turchese, il suo preferito, quello che sentiva ispirasse la sua musica.

Osservando la spiaggia gli parve di vedere un miraggio, un miracolo! Roberta camminava verso di lui, solitaria, piano e con il suo passo caratteristico che muoveva tutto il suo corpo da un lato all’altro. Un dondolare, quasi un ballo. Per Samuele lei non camminava, fluttuava.

-      Posso sapere il tuo nome?

-      Sono Roberta, Roberta Garau

-      Ma sei figlia del Cavalier Garau?

-      Si, sono io

-      Io mi chiamo Samuele Basciu

-      Lo so

-      Ma come lo sai, mi conosci?

-      Lo so, dico solo che lo so.

Samuele era sorpreso, sembrava strano anche il fatto che la ragazza fosse lì, in quel posto che egli pensava essere solo suo. Il suo luogo di fuga, di esilio.

-      Posso mostrarti una musica che ho fatto per te?

-      Le mie orecchie sono tutte tue, canta.

Roberta sentì la musica in silenzio. Rimase zitta, non disse niente a Samuele. Aprì la bocca solo per baciarlo. Appena finita la musica lo baciò. Si spogliarono dei pochi abiti che portavano, a causa del caldo, e si amarono all'ombra del casotto turchese come fosse per l'unica volta. Fu l'unica volta. Roberta andò via senza dire una parola. Samuele rimase, perché non voleva che quel giorno finisse mai.

La mattina dopo Samuele, seduto al tavolo del bar di Piero, nello stesso tavolo, con gli stessi Marco e Marcello, aveva un sorriso infinito che andava oltre il viso. Marco domandò:

-      Ma cosa è accaduto? Non sembri normale!

-      Niente, niente. Forse oggi vedrete una grande sorpresa!

Poco dopo venne con il suo passo inconfondibile Roberta, verso il mare, come tutte le mattine. Questa volta però, in un modo sorprendente, Samuele si alzò e camminò verso di lei. Deciso, fiero, come un atleta che cammina verso il podio per prendere la sua medaglia olimpica, si avvicinò a lei.

Lei non cambiò passo o direzione e fece finta di non conoscerlo. Samuele ancora provò ad avvicinarsi e a seguirla per alcuni metri, raggiungendo il suo fianco. A voce bassa che solo loro due potevano sentire disse:

-      Ma scusa, Roberta, cosa stai facendo?

-      Scusi, non la conosco, mi lasci andare

-      Roberta, ma ieri…

-      Non ricordo niente di ieri

-      Roberta, per favore, non fare così

-      Samuele, vai via, non posso conoscerti, non posso restare con te, sarebbe il mio suicidio, vai via!

Samuele si fermò. Roberta proseguì, con lo stesso passo, nello stesso cammino.

Quando Samuele tornò lentamente al tavolo, con una faccia totalmente diversa da quella iniziale, Marcello domandò:

-      Ma cosa è accaduto?

-      Niente, niente, forse oggi ho avuto io una grande sorpresa!

-      Non ho capito cosa hai fatto, Samuele, ti alzi per parlare con quella ragazza che non conosci, che non sa nemmeno il tuo nome

-      È meglio che non ti avvicini a lei, è la fidanzata di Riccardo Murru, mia mamma ha raccontato che nella città non si parla d'altro se non del loro matrimonio. È stato appena annunciato, un paio di giorni fa, sarà nella prossima primavera.

Le informazioni fecero capire e, allo stesso tempo, non capire quanto successo il giorno prima. Samuele non era d'accordo e non sapeva cosa fare.

-      Samuele, sei pazzo, cosa hai detto alla ragazza?

Samuele cambiò totalmente l'espressione del viso e in un modo sarcastico e ironico rispose all’amico.

-      Semplice, sono andata a salutarla, ho detto solamente che “quando lei passa tutto il mondo si riempie di grazia e tutto è più bello grazie all'amore”. Solo questo. Ragazzi io vado via. Sto lasciando la Sardegna, il più presto possibile.

-      Ma così, da un'ora all’altra, senza pensare

-      Le migliori decisioni si prendono senza pensare

-      Ma dove vai?

-      Non ho ancora deciso, Genova, Roma oppure forse in America

-      Se io fossi in te andrei a Genova, un pescatore riesce a vivere bene a Genova

-      Se io fossi in te andrei a Roma, lì hanno bisogno di operai, camerieri e muratori

-      Non lo so, vediamo per dove parte la prossima nave

-      Ho bisogno del vostro aiuto. La mia barca è in vendita. Ho bisogno di soldi per andare via e voi che siete miei amici potete comprare la mia barca

-      Dobbiamo comprarla! Ma perché?

-      Perché siete miei amici. Datemi quello che avete o potete. Non vorrei che la mia barca andasse ad altri. La vendo a voi e parto.

Alcuni mesi dopo Samuele era a Genova, nel porto. Portava con sé pochi bagagli e la sua chitarra che suonava ogni tanto per sentirsi meno solo e per conquistare qualche ragazza. Ma le ragazze di Genova non gli interessavano tanto, la delusione era ancora molto recente e Samuele cercava una nuova realtà, un nuovo mondo. Non gli piaceva l'atmosfera, il clima, la temperatura, Samuele voleva andare più lontano.

Sapeva che Roberta non era ancora sposata, ma non aveva più senso, a Cagliari non sarebbe tornato. La Sardegna adesso faceva parte del suo passato. Roberta oramai era un insieme di bei ricordi legati ad un unico giorno che Samuele sentiva con una malinconia che gli faceva pulsare il cuore. Una sensazione diversa a cui lui non sapeva dare un nome. Trent'anni dopo avrebbe scoperto che questo sentimento si chiama saudade.

Mentre la sua testa andava verso il ricordo dei passi di Roberta sulla sabbia della spiaggia del Poetto, Samuele si trovò di fronte ad una locandina, grande, fissata sul muro dove si leggeva:

“In America. Terre in Brasile per gli italiani. Nave in partenza tutte le settimane dal porto di Genova. Venite a costruire i vostri sogni con la famiglia. Un paese di opportunità. Clima tropicale, vitto in abbondanza, ricchezze minerali. In Brasile potrete avere il vostro castello. Il governo dà terra e utensili a tutti.” 


Di ogni parola che leggeva Samuele costruiva un'immagine e un sogno nella sua testa. Le prime tre parole della locandina erano: America, Brasile e italiani. Parole vicine nel testo ma lontane nella mente di Samuele. Soprattutto America e Brasile di cui non conosceva la differenza. Sarebbe il Brasile parte dell'America o l'America parte del Brasile? Sarebbe lo stesso posto oppure posti diversi e lontani? “Un paese di opportunità. Clima tropicale e vitto in abbondanza…” Samuele aveva sentito storie di foreste e isole tropicali in cui è sempre estate e gli alberi sono pieni di frutti. Sarebbe questo il Brasile? Cominciò a sognare con “il vostro castello” e forse anche grazie a “sogni con la famiglia”. Mai una locandina suscitò tante immagini in una testa, al punto che, senza pensarci molto, Samuele si imbarcò in quella nave con destinazione San Paolo.

(Imbarco di Samuele)

Il viaggio durò circa un mese e non fu facile per Samuele. Lui era un marinaio e non ebbe mal di mare come la maggior parte dei viaggiatori ma, una volta entrato nella nave, scese quattro o cinque piani non sapendo se la sua camera fosse sopra o sotto il livello del mare. Non era nemmeno una camera, era una grande sala piena di letti a castello e c'erano quasi quaranta persone nella stessa camera buia. Al suo fianco un signore napoletano che russava un po’ più del normale e che dava molto fastidio durante il sonno. Lì non si vedeva la luce del sole. Salendo alcune scale in direzione della poppa della nave si raggiungeva una parte aperta dove si poteva vedere il mare e l'orizzonte, ma era una parte troppo piccola per così tanti viaggiatori. La parte più alta, più bella e con vista migliore era ristretta all’equipaggio e ai viaggiatori di prima classe. Gli immigrati, quasi tutti italiani, potevano restare nella parte più angusta della nave. I bagni erano due per quasi cinquecento persone.

A causa dell’ozio, la sua testa annoiata faceva dei conteggi: se in quella nave c'erano circa mille italiani e la nave partiva ogni settimana questo significava quattromila italiani al mese e quasi cinquantamila all’anno. Da una parte l’Italia stava svuotandosi, dall’altra sarebbe stato possibile trovare una nuova Italia in questa città brasiliana. Inoltre San Paolo era il suo santo preferito e ciò gli dava sicurezza. Non suonò mai durante il viaggio, i rumori del motore e delle macchine, molto vicine alla loro camera, e le tante persone che parlavano contemporaneamente non producevano l'ambiente adatto alla musica e alla poesia. Samuele parlava poco e ascoltava molto, tante storie, molti sogni. Ognuno portava con sé una speranza gigantesca in questa avventura, in questo nuovo mondo e allo stesso tempo rimpiangeva le cose, le persone e la terra che aveva lasciato. Per Samuele ogni storia poteva essere una canzone. Lui aveva sempre composto musiche che parlavano della semplicità della gente. Non che la musica dovesse essere semplice. No, poteva essere raffinata e toccante, ma il testo, che per lui era tanto importante quanto la melodia, doveva parlare della gente semplice, della vita quotidiana, doveva essere prossimo al cuore e all'anima di ognuno. Non doveva essere la perfezione, sublime o elevato ma semplice e leggero.

Quattro settimane dopo la partenza da Genova la nave raggiunse il Brasile, la prima fermata fu Salvador de Bahia che Samuele capì chiamarsi Bahia per la baia dove la nave getta le ancore. Si chiama la Baia de Todos os Santos. L'entrata nella baia fu di mattina. La nave rimase ancorata durante la notte e ripartì la mattina dopo. Nessun immigrato di seconda e terza classe poteva scendere dalla nave. Solo qualcuno della prima classe, qualcuno che sbarcava a Salvador e qualcuno dell’equipaggio che doveva imbarcare e sbarcare merce.

Alla fine del giorno Samuele saliva sul balcone di poppa che era pieno di curiosi che volevano vedere la città. Non era piccola. C'erano palazzi di grande misura tanto nella parte di sotto come nella parte di sopra della città. Salvador è stata la prima capitale del Brasile. Era interessante perché c'erano due città: una era la “città bassa” e l'altra la “città alta”. Samuele passava parecchio tempo lì. Molti scendevano a dormire e lui continuava ad ammirare, nonostante fosse lontana, quella cosa che chiamavano Brasile. Improvvisamente iniziò un suono che catturò l'attenzione di Samuele. Era una musica ma non era solo una musica. Non c'erano strumenti a corda o fiati, erano solo percussioni, soprattutto tamburi dal timbro grave. Un ritmo costante che non si fermava. Continuo. Forte. Forse un rituale, forse una preghiera, forse un mantra. A volte sentiva un coro di voci all'unisono, con volume inferiore alle percussioni. Quel suono durava per quasi un'ora e Samuele entrava dentro quella musica come per non uscirne mai.

Passarono soltanto tre giorni di viaggio, lungo la costa, potendo vedere da lontano le montagne verdi, poi la nave arrivò alla seconda fermata: Rio de Janeiro. Era incredibile, era tutto verde, ovunque alberi, tutto foresta e una sinfonia di canti di diversi uccelli: Aprium, Arapaçu, Curió, Juriti, Macucu, Pixoxó, Sabiá, Tangaró e Urutau. La nave entrò nella Bahia de Guanabara, la visuale era unica, bellissima. Le montagne, le spiagge, il verde scuro del mare erano quasi della stessa tonalità del verde del bosco. Forse quello era il posto più bello del mondo, era l'immagine che Samuele aveva in mente per il paradiso. Più di una volta la nave si fermò solo per una notte. Più di una volta gli immigrati non poterono scendere, la dogana di controllo degli immigrati italiani era solo nel porto di Santos, vicino a San Paolo. Nel mezzo della notte la musica veniva dalle montagne e si sentivano le percussioni. Erano gli stessi strumenti, ma il ritmo era un po’ cambiato. Era anche qui un tempo in due quarti, ma assai curioso era che la tonica fosse nel secondo quarto, lo stesso gioco che Samuele a volte faceva nelle sue canzoni a Cagliari, dove sembrava che nessuno lo capisse! Allora pensò che il suo ritmo musicale, il suo ritmo di vita, avesse molto a che fare con quello di Rio de Janeiro.

Dopo due giorni di viaggio la nave era pronta ad entrare nel porto di Santos. Finalmente il giorno più sognato, quello dello sbarco. Finalmente Samuele avrebbe messo i piedi nel suolo brasiliano. Ma non fu così semplice. Dovettero aspettare quasi un giorno per terminare lo sbarco della prima classe e delle merci. Durante questo tempo gli italiani aspettavano in piedi con le valigie a terra, ogni tipo di notizia arrivava a loro, ma niente di ufficiale. Girava l'informazione che non stessero lasciando scendere i malati e gli anziani. Qualcuno diceva che si dovesse avere l’attestato medico di sanità, altri dicevano che quello servisse solo nel porto di New York e Buenos Aires. Il signor Giuseppe Sola, che veniva da Mormanno, in Calabria, mostrava orgoglioso il suo, ma c'era chi diceva che non avesse più valore perché era datato 1914 ed era già il 1915, per questo motivo doveva essere scaduto.

(Attestato medico di Giuseppe Sola)

Era necessaria molta pazienza per aspettare il proprio turno per essere intervistato e registrato al fine di poter entrare ufficialmente nel paese. I documenti erano necessari per trovare lavoro. Samuele pensava che fosse assurdo aspettare più di dieci ore in fila senza mangiare e senza un bagno. I brasiliani avrebbero potuto accogliere molto meglio quella mano d'opera europea che arrivava per far crescere il loro paese e per “sbiancare” la popolazione, che era il piano del governo.

Dopo l'entrata ufficiale, tutti si spostarono su un treno che viaggiava per due ore da Santos a São Paulo. La Estação da Luz (Stazione della Luce) era la destinazione finale. Durante il viaggio Samuele fece amicizia con un signore alcuni anni più grande di lui che viaggiava al suo fianco sul treno.

-      Buongiorno, sono Francesco Matarazzo, da Castellabate in provincia di Salerno, vengo a trovare i miei fratelli che sono a Sorocaba, vicino a São Paolo.

Per quasi tutto il viaggio Francesco si fidò di Samuele e raccontò la sua avventura fino a quel momento e i suoi sogni in Brasile.

I suoi fratelli lavoravano il caffè a Sorocaba, vicino a São Paulo. Più una volta Samuele ascoltò molto e parlò poco, forse questa era la sua miglior virtù.

-      Buongiorno, sono Samuele Basciu da Cagliari

Arrivando alla Estação da Luz, Francesco offrì a Samuele un caffè in un bar davanti alla stazione. Disse che quello era il miglior caffè del mondo, veniva da Sorocaba, era di produzione dei suoi fratelli. Il caffè era veramente magico, nonostante fosse filtrato in un calzino! Curioso anche il barista del caffè, un nero, Otello, che parlava benissimo l’italiano. Quell'incontro con Otello fu un'occasione unica che avrebbe cambiato il suo destino.

-      Io parlo bene l’italiano perché mio padre è italiano, viene da Napoli e mia mamma è una nera figlia di africani che sono stati portati qui come schiavi. Sono metà italiano, metà africano ma mi sento brasiliano, sono nato qui. La domenica mattina vengo con mio padre alla messa della Chiesa Cattolica, lo stesso giorno di sera vengo con mia mamma al Candomblé, nel Terreiro de Umbanda.

-      E quale dei due riti preferisci?

-      Quando abbiamo bisogno del miracolo, del regalo divino, non fa differenza da dove viene l'energia, l’importante è la fede. Ma nel Candomblé la musica mi smuove molto di più, passo tutta la sera suonando l’atabaque.

Samuele chiese della musica e Otello fece una batucada sul legno del bancone con l’aiuto di alcune parole cantate. Subito Samuele che riconobbe il ritmo che aveva sentito nella nave a Rio de Janeiro e a Salvador, chiese ad Otello cosa fosse.

-      O Candomblé è un rito religioso portato dagli africani ed è molto praticato qui in Brasile, a São Paolo non è praticato perché qui ci sono gli italiani. Dicono che oggi a Rio de Janeiro ci sono più Terreiro de Umbanda che chiese cattoliche

-      Ragazzi, parto oggi per Rio de Janeiro

Samuele spese gli ultimi risparmi in un biglietto del treno dalla Estação da Luz (dove letteralmente tutto è diventato più chiaro) alla Central do Brasil.

Appena arrivato alla stazione, Samuele guardò in direzione di una piccola collina con un grande albero di mango davanti. Da quella direzione arrivava un suono o, meglio, il suono. Quello che lui aveva sentito dalla nave qualche giorno fa. Quel ritmo costante fatto dagli atabaques, quel canto primitivo, quell'energia. Samuele si addentrò nel Terreiro de Umbanda. Samuele si addentrò nel Terreiro de Umbanda (la ripetizione della frase non è un errore grammaticale, ma bensì un accrescitivo, una persistenza, è la frase più importante della storia).

(Terreiro de Umbanda - 1915)


Samuele era fermo, statico, attonito, stupefatto nel mezzo del Terreiro, un grande circolo con una partecipazione collettiva, tutti suonavano, cantavano, ballavano. Una condivisione spirituale.  Da un lato gli uomini, a petto nudo, a piedi nudi, solo con un pantalone bianco leggero, suonavano all'unisono dei tamburi lunghi e stretti chiamati atabaque. I suoni acuti, ritmati e costanti, erano fatti da ganzá, caxixi, agogô e xequerê. Le innumerevoli candele si muovevano insieme al ritmo della musica e una decina di donne nere, con vestiti e sorrisi bianchissimi, giravano e ballavano attorno a lui.

Una, la più bella, lo tirò per il braccio, si sedette per terra e lo mise seduto davanti a lei. Gli diede un sigaro di un'erba dolce molto apprezzata dai popoli nativi. La chiamavano con alcuni nomi: riemba, pemba, jingongo, chiababa, jererê, monofa, charula o pango. Dopo un bicchiere di un distillato di canna da zucchero forte, la cachaça, disse:

-      Parla, parla di tutto ciò che vuoi, la tua pomba-gira ti aiuterà.

Samuele parlò, parlò e parlò. Parlò come non aveva mai parlato. Parlò per quella figura che sembrava non essere attenta, ma quando lui smetteva di parlare lei prontamente suggeriva una domanda e lo faceva proseguire col suo racconto. Mentre parlava, fumava e beveva, Samuele guardava il viso bellissimo di quella donna piena di vita, di movimento. La notte diventò un viaggio, una regressione spirituale sino al futuro, una sensazione primitiva e naturale. Sfuma la luce. Buio.

La mattina Samuele si svegliò con il sole forte in faccia che arrivava da una finestra aperta. Si trovava in un letto singolo, sdraiato a fianco di una donna nera. Non una donna, era “la donna”, la stessa con cui parlava la notte precedente.

-      Buongiorno italiano, vieni, scendiamo, la mamma ha già preparato la colazione ed il caffè fatto da Tia Ciata è il migliore di Rio de Janeiro. Andiamo.

Samuele prima controllò che la valigia e la chitarra fossero nella cameretta, mise degli indumenti, poiché si era svegliato nudo, e scese dal secondo piano al piano terra, seguendo la ragazza che girò verso il fondo della casa, sino al cortile, al “quintal da Tia Ciata” dove la colazione in abbondanza era su tavolo.

-      Come ti chiami, italiano?

-      Samuele, Samuele Basciu, vengo da Cagliari, Sardegna, Italia. Sono arrivato due giorni fa a Santos e ieri sera sono giunto a Rio de Janeiro… Ma perché mi fai domande? Ieri ti ho detto tutto ciò e ho raccontato la mia storia!

-      No, non hai parlato con me

-      Si, mi ricordo, nel Terreiro, ho parlato con te per ore…

-      No, non hai parlato con me. Hai parlato con il mio santo, con la mia pomba-gira

-      Cosa?

Tia Ciata spiegò con calma al novizio.

-      Era il suo corpo ma non era lei. Baixou o santo. Lei aveva appena prestato il corpo al santo che è venuto a parlare con te. Tu hai parlato con un Orixá ospitata nel suo corpo. Per questo Chica non ricorda niente di cui hai parlato

-      Io non so come tu possa ricordare qualcosa, disse Chica a Samuele. Alla fine del culto quando sono tornata a essere me stessa ti ho trovato caduto, ubriaco e stonato, assieme a Pixinguinha che è rimasto addormentato nella camera all'ingresso e che forse ancora dorme

-      Pixinguinha, chi è costui?

-      Non lo conosci, era sdraiato insieme a te per terra nel Terreiro, lui con il flauto, tu con la chitarra, pensavo vi conosceste, voi musicisti siete sempre insieme.

Samuele cominciò a capire qualcosa, ad entrare in quell'ambiente e in quel mondo nuovo. Prima imparò la cosa più importante: Chica, lei si chiamava Chica. La figlia più giovane di Tia Ciata. La bellezza più esotica che avesse mai visto nella vita. Il nero più brillante che avesse mai conosciuto, il corpo più perfetto che avesse mai visto. Ed era strano per lui capire di aver parlato all'Orixá e che si fosse appassionato al corpo che conteneva il santo. Era l'unica cosa che ricordava di aver detto a lei, la ragazza che non ricordava niente, ma che donava il suo corpo alla pomba-gira che orientava Samuele ad avere successo al suo arrivo a Rio de Janeiro. Che confusione!

Chica era veramente brava, era andata al Terreiro a fare il suo lavoro e quando aveva finito si era presa quei due stonati ubriachi, un nero e un bianco, un flautista e un chitarrista, e per non lasciarli dormire all’aperto li aveva portati a casa sua per dormire in pace. Uno, Samuele, lo aveva portato a dormire nel suo letto, senza nemmeno sapere il suo nome. Che modo di avere fiducia in uno sconosciuto. E veramente non si erano nemmeno toccati, avevano solo dormito. O meglio, si toccarono schiena con schiena, perché il letto era veramente molto piccolo. Ma senza malizia.

Al lungo tavolo di legno dove erano seduti, si avvicinò il nero flautista che era stato nella notte precedente protagonista dell'avventura.

-      Tia Ciata, il caffè?

-      Pixinguinha, neguinho abusado, ti faccio il caffè perché mi hai conquistata con i tuoi chorinhos, i soli di flauto e soprattutto la tua simpatia. Pixinguinha, sei amato da tutti. Devo rifare il caffè, l'italiano qui ha bevuto già tre bicchieri

-      Buongiorno, io sono Alfredo, molto piacere

-      Ma Pixinguinha, nessuno ti chiama Alfredo! – disse Tia Ciata

-      I neri no, i neri mi chiamano Pixinguinha, ma i bianchi mi chiamano Alfredo, Alfredo da Rocha Vianna Junior. Figlio di Alfredo da Rocha Vianna, il Junior è perché ho lo stesso nome di mio padre. La nonna africana mi chiamava da bambino “Pizindin”, bravo ragazzo nella sua lingua africana. E tu come ti chiami?

-      Sono Samuele Basciu, vengo da Cagliari, dalla Sardegna. Posso anche io chiamarti Pixinguinha? E' più musicale, lo preferisco

-      Un bianco può chiamarmi Pixinguinha solo se è un bianco con l'anima nera

-      E come sai se sono un bianco d'anima nera?

-      Quando tu suonerai la chitarra ti dirò se hai l'anima nera. Ma sei italiano?

-      No. In verità sono sardo, mi sento più sardo che italiano

-      Samuel?

-      No, Samuele, con la “e” finale

-      Scusa, è che la settimana scorsa abbiamo conosciuto un altro Samuel, mi sembra fosse senza la “e”. Samuel Cash, veniva dagli Stati Uniti d'America. E anche lui suonava la chitarra.

In un commento ironico Tia Ciata disse:

-      Basta che arrivi un bianco giovane che Chica lo porta a casa per dormire con lei

-      No mamma, oggi ho solo fatto la carità, non aveva dove dormire. Giuro che non ho mai toccato la sua mano durante la notte

-      Vero Tia Ciata, non abbiamo fatto niente – commentò Samuele come volendo giustificare di essere un uomo rispettoso e corretto

-      Tu no, ma con l’altro Samuel della settimana scorsa c'erano così tanti gemiti che nessuno è riuscito a dormire qui a casa

-      Ma mamma – rispose Chica ironicamente a Tia Ciata – tu che tutti dicono essere la donna più libera di Rio de Janeiro stai facendo censura dei miei amori. Libertà ai neri, libertà politica e anche libertà nell’amore mamma. Tutte le forme d'amore valgono.

La testa di Samuele era bollente, caldissima per il sole intenso di Rio de Janeiro ma anche per l’oceano di grandi novità di idee e pensieri sulla vita e sulla libertà. Ancora più forte era il potere di cattura dello sguardo di Chica. Parlava sempre con il sorriso che superava la dimensione del viso. Sarebbe lei la fidanzata di questo altro Samuel? Ma lei ancora lo guarda con interesse? È normale un dialogo così aperto sulla relazione amorosa, tra una mamma e una figlia come queste due? La testa di Samuele era piena di dubbi. Piena di punti di domanda. Ma Chica lo aveva incantato.

-      Attenti tutti, João Batista sta arrivando con il Presidente!

L’oceano di grandi novità di questo giorno senza fine continuava a sorprendere. Il Brasile era una Repubblica dal 1889 e il suo presidente, dal 1914 al 1918 era Venceslau Bras. Era proprio lui ad entrare in quella piccola ma grande casa. Piccola di misura, ma infinita nel cortile e negli eventi aleatori di una coincidenza quasi impossibile. Tutto nello stesso giorno. Il Presidente aveva una ferita nel piede che nessun medico riusciva a guarire. João Batista, la sua guardia di fiducia, era marito di Tia Ciata e aveva consigliato al Presidente di provare la terapia di Tia Ciata; un'invocazione ai Orixás del Candomblé per aiutare nella cura. Tia Ciata era una benzediera. Il metodo aveva funzionato. Era la seconda ed ultima volta che il Presidente andava a curarsi con Tia Ciata ed uscì camminando bene e felicemente. Prima che lui uscisse, Tia Ciata fece un'ultima richiesta.

-      Presidente, vedi quel ragazzo bianco seduto al tavolo a fianco di Pixinguinha? Lui si chiama Samuele Basciu, è appena arrivato da Cagliari, è il nuovo fidanzato di mia figlia Chica (tutti risero) potremmo fare oggi una festa di benvenuto al mio ospite italiano qui nel mio cortile?

-      Ma certo Tia Ciata, oggi la polizia non vi darà fastidio, oggi voi avrete proprio la protezione della polizia. Se ci sarà qualche problema io comunicherò per telefono. Hai capito Tia Ciata: “pelo telefone”!

As Tias Baianas (le zie baiane) cominciarono a preparare os quitutes (gli stuzzichini e i dolci) che facevano già tutti i giorni per vendere nos tabuleiros da praca onze (nelle bancarelle della Piazza Undici). No tabuleiro da baiana tem, vatapá, caruru, mungunzá, tem umbu pra ioiô. Quel giorno ne fecero in più per la festa nel cortile di Tia Ciata. João Batista fu dunque responsabile dell'aumento dello stock di cachaça, questa volta con la protezione della polizia.

(Le bahiane della Piazza Undici)

La Praça Onze (Piazza Undici) era chiamata anche Nova Africa per la grande incidenza di neri tra la popolazione. Ma lì accadeva un fenomeno nuovo e interessante, i neri vivevano mescolati con tutti i tipi di bianchi. C'erano portoghesi, italiani, inglesi, musulmani, ebrei, statunitensi e alcuni nativi locali. Era come se la piazza fosse un sunto del pianeta. E con la stessa proporzione, la casa di Tia Ciata, lì vicino, era un sunto della piazza che era un sunto del pianeta.

La casa era a due piani. Nel piano di sopra c'erano sei camere, ma solo la prima e l'ultima avevano finestre. La camera di Chica, dove Samuele aveva dormito, era così. Nel primo piano, una sala grande dove si suonava il Choro e, nella parte posteriore, la cucina che finiva nel famoso cortile posteriore. Samuele era rimasto tutto il pomeriggio con Pixinguinha, imparando il Choro, erano brani strumentali che utilizzavano il clarinetto, il banjo, il mandolino o il flauto. Pixinguinha era un mago con il flauto. Le sue melodie erano bellissime. Quel pomeriggio Samuele conobbe anche il cavaquinho, suonato da un signore tanto grasso che era impossibile credere che quelle dita grandi riuscissero a premere quelle corde piccole del cavaquinho. Altro strumento che lo aveva stupito era la cuíca, che per Samuele era come il canto di un'anatra malata.

Dopo il tramonto il movimento nella casa di Tia Ciata aumentava, le persone andavano in direzione del cortile. Il cortile di Tia Ciata. I visitatori sentivano un po’ di Choro all'ingresso, poi passavano per la cucina dove rubavano qualcosa da mangiare e prendevano un bicchiere di cachaça. Il giro finiva nel cortile, dove ci si sedeva in una panchina, una sedia, un'amaca e anche a terra, in piccoli cerchi dove girava una pipa da fumare con le erbe indigene: o cachimbo da paz (la pipa della pace).

Samuele e Pixinguinha stavano ancora suonando choro nella camera all'ingresso quando videro arrivare Fred Figner, l’ebreo che era proprietario della Casa Edison, etichetta discografica di Rio de Janeiro, e che da tempo voleva registrare la musica che si faceva nel cortile di Tia Ciata. Con lui arrivò Samuel Cash, con una chitarra in una custodia molto simile a quella di Samuele Basciu. Samuele era geloso, non per la custodia, ma perché Samuel aveva dormito alcune notti nello stesso letto in cui lui aveva dormito la notte precedente, con la stessa donna, con una “performance” migliore.

La notte seguente tutti si trovarono nel cortile, in un grande cerchio, ridendo, fumando la pipa e bevendo la cachaça da boa. Gli strumenti del Candomblé erano già al loro posto. Atabaque, ganzá, caxixi, agogô, berimbau e xequerê erano pronti per essere suonati. Donga, sempre presente, prese due custodie di chitarra per metterle accanto e con una penna scrisse SAM in quella di Samuel Cash per poterla distinguere. Pixinguinha lo avvertì:

-      Attento Donga, l'altra custodia è di Samuele Basciu, anche lui è SAM!

-      Adesso scrivo SAM anche in quella di Samuele Basciu, disse Donga, entrambi sono SAM, nelle due custodie ho scritto SAM.

Pixinguinha domandò a Donga:

-      Ma adesso come facciamo a distinguerle?

-      Semplice, in quella di Samuel Cash scrivo SAM CA, e in quella di Samuele Basciu scrivo SAM BA.

Pixinguinha voleva suonare e disse:

-      Scrivi quello che vuoi, io vorrei fare musica, vorrei suonare. Ma oggi, Samuel Cash, lascia la tua chitarra nella custodia perché abbiamo già sentito la tua musica. È bella, ma sono solo tre accordi. Oggi vorrei sentire altra energia, oggi sentiremo Samuele Basciu, oggi sentiamo la custodia SAM BA.

Tia Ciata gridò nel cortile:

-      Avanti Samuele, facciamo SAM BA in questo cortile.

Samuele si ispirò agli atabaques della notte prima, ricordava il movimento dei passi di Roberta nella spiaggia del Poetto, confondendoli con il movimento del corpo di Chica, mescolandoli con il Choro che aveva appena imparato con Pixinguinha iniziò una musica, un ritmo, uma batida, uma cadência, che fu seguita da tutti. La sintonia era completa. Un'euforia psicosociorgasmatica collettiva.

Donga gridò durante il ritornello:

“Il capo della polizia al telefono ha fatto sapere che in Piazza Carioca c'è una roulette per giocare”.

E quando si pensava che una cosa perfetta non potesse ancora diventare meglio, Chica venne al centro del cerchio, chiamò Samuele per danzare e gli diede un bacio forte davanti a tutti, sussurrando nelle orecchie:

-      Oggi tu dormi con me nel letto, ma se non mi tocchi, ti mando via. Oggi tu sei mio.

La notte divenne un sogno nel giorno più emozionante della vita di Samuele. La notte che lui non voleva finisse mai.

Il giorno dopo, Donga, un percussionista nero, entrò nella sezione di copyright del sontuoso edificio della Biblioteca Nacional, un posto di solito frequentato da musicisti eruditi bianchi, e registrò il samba “Pelo Telefone” a nome suo e di Mauro de Almeida. Tutti gli altri che avevano collaborato alla musica nella sera precedente furono dimenticati, incluso Pixinguinha che aveva scritto lo spartito – era l’unico nero che sapesse scrivere la musica a Rio de Janeiro nel primo 900 – e Samuele Basciu che aveva cominciato la musica.

Ma questo non gli importava, il mondo non gli importava, Samuele era andato in spiaggia con Chica. Doveva onorare la promessa fatta nel terreiro alla pomba-gira e saltare dieci onde, offrire fiori e cachaça a Yemanjá, a rainha do mar. La spiaggia scelta era Ipanema, una spiaggia dopo Copacabana. Piaceva a Chica perché poteva bagnarsi nuda. Il sole era fortissimo, si amarono nel mare, nella sabbia e negli scogli.

(Praia de Ipanema - Rio de Janeiro - 1915)


Era stata una settimana meravigliosa per Samuele, dormiva con Chica, mangiava lo squisito cibo di Tia Ciata e suonava tutto il giorno con Pixinguinha il Choro che aveva imparato da lui e la musica che Pixinguinha chiamava samba e che aveva imparato da Samuele. Dopo alcuni giorni il gruppo musicale di Pixinguinha fu invitato a suonare a São Paulo. Samuele andò con lui. Fecero diversi concerti nei bar del centro di São Paulo. Samuele trovò il suo amico Francesco Matarazzo che disse a Samuele di dover aprire un'impresa per vendere caffè di San Paolo in Italia. Lo invitò a lavorare con lui ma Samuele rifiutò raccontando a Francesco che voleva fare musica a Rio de Janeiro, che aveva trovato i musicisti giusti che capivano la sua musica, ma principalmente raccontò di aver trovato l’amore della sua vita. Raccontava meraviglie di Chica con un sorriso che nessuno aveva mai visto tanto grande.

Samuele salutò Francesco e fece un altro viaggio in treno dalla Estação da Luz alla Central do Brasil, ritornando felice a Rio de Janeiro. Durante il viaggio, nel Jornal do Brasil, Samuele lesse un racconto di Machado de Assis: A Cartomante. Per la sorpresa di Francesco Matarazzo, una settimana dopo Samuele era nuovamente a São Paulo, con una faccia triste e opposta a quella della settimana scorsa.

-      Francesco, amico mio, è ancora valida quella proposta di lavorare con te nelle tue imprese? Sono pronto a vendere caffè.

Samuele era tornato un altro uomo. Senza più quella sua felicità e soprattutto senza la chitarra che aveva lasciato indietro a Rio de Janeiro. Fu lui stesso a spiegare a Francesco cosa era accaduto.

-      Non riesco a capire quella donna, prima mi ha portato in paradiso e dopo sono sceso all’inferno. Io ero tanto contento con lei, ti avevo raccontato, però appena sono tornato da quei giorni a São Paulo, arrivato a casa di Tia Ciata, ho trovato Chica con un altro uomo nel letto, un nero forte, quasi due volte la mia taglia.

-      Ma lei non ti ha mai detto niente?

-      Esattamente, lei non mi ha detto niente. Non mi ha detto che voleva stare sempre con me, non ha detto che voleva sposarmi, non ha detto niente. Solo stava con me, e dopo era con un altro. Senza dire niente. Ho parlato con Tia Ciata e lei mi ha spiegato che lei è così, non vuole stare definitivamente con nessun uomo. Non vuol essere proprietà di nessuno. Lei viene da una famiglia di ex schiavi, la libertà è il suo maggiore valore. Non vuole nessun padrone, nemmeno un marito, che per lei sarebbe la stessa cosa. Lei è così, vuol essere libera per uscire con chi vuole e quando vuole. Non si lega a nessuno. È un modo di essere, è la sua libertà.

-      Mio amico Samuele, tu sei un italiano, noi italiani non siamo preparati a questo tipo di libertà. Il nostro pensiero sulle donne è molto tradizionale. In qualche modo devi dimenticarla e il lavoro è il miglior metodo. Andiamo a vendere caffè.

Rimasero più di trent'anni insieme, lavorando insieme. Samuele era l’uomo di fiducia di Francesco Matarazzo che diventò uno degli impresari più ricchi di São Paulo. I soldi non furono più un problema per Samuele. Neanche le donne. Samuele non rimase coinvolto fortemente con nessun'altra. Dopo i due amori: Roberta a Cagliari e Chica a Rio de Janeiro, due donne così opposte nello stile di vita, una la più tradizionale del mondo e l'altra la più libera. Le due donne che avevano fatto passare Samuele da un sogno a un incubo in poche ore. Le due donne che avevano fatto dimenticare a Samuele cosa fosse l’amore. Le due che lo avevano fatto diventare un uomo di negozio e commercio, senza più arte, poesia e musica. Erano trascorsi più di trent'anni e la chitarra di Samuele non aveva mai suonato. La sua chitarra rimase a Rio de Janeiro, nella casa di Tia Ciata, dall’ultimo giorno in cui vide Chica. Samuele era ormai un uomo freddo nel caldo Brasile tropicale.

Gli anni 40 furono difficili, soprattutto a causa della guerra. Non ci fu guerra in Brasile, nessuno sparo, nessuna bomba, ma ufficialmente il presidente Getulio Vargas decretò la guerra contro l'Italia di Mussolini. Il Brasile mandò soldati a combattere in Italia. Il Brasile vinse la guerra, l’Italia la perse, per questo motivo ci fu una persecuzione di italiani, tedeschi e giapponesi in Brasile. A São Paulo, tutti gli italiani dovevano nascondere di esserlo. Molti nascosero e sotterrarono i documenti che avevano portato dall'Italia e fecero nuovi documenti brasiliani. Anche Samuele fece ciò e i suoi documenti originali non furono mai trovati. La squadra di calcio degli italiani che Samuele tifava dovette cambiare nome: Il “Palestra Italia” diventò “Palmeiras”, un nome molto brasiliano. Fu un periodo di instabilità.

(San Paolo – 1950)

Ma gli anni 50 furono anni di sviluppo economico, nel senso che i ricchi diventavano più ricchi e i poveri restavano poveri. Ma il prodotto interno lordo del paese cresceva e São Paulo produceva quasi metà di tutta la ricchezza del Brasile. Samuele economicamente era molto stabile e aveva comprato una casa nella collina del Pacaembu, vicino alla casa del poeta Guilherme de Almeida. Da lì era facile giungere ai nuovi uffici delle imprese Matarazzo nella nuova Avenida Paulista. Un giorno – e la vita di Samuele era sempre stata definita e cambiata in un solo giorno – dopo una riunione di lavoro, Francesco Matarazzo invitò Samuele a passare a casa sua per conoscere un nuovo amico.

Samuele, questo è il mio amico João Rubinato, è una persona molto divertente, lavora alla radio. È lui che fa quel personaggio Charutinho alla radio, il popolo di São Paulo ama Charutinho. Lo hai già sentito?

-      No, Francesco, non l'ho sentito, non sento la radio dal tempo della guerra, la radio porta solo notizie tristi

-      Discordo Samuele, discordo. La radio porta anche divertimento e la musica è la nova onda. Tutti la sentono. Charutinho farà pubblicità per noi e João Rubinato farà anche un samba per la nostra impresa, lui si definisce “sambista”.

Samuele guardò João Rubinato e memorizzò immediatamente il personaggio di Charutinho (letteralmente piccolo sigaro). Il suo aspetto unico e divertente ricordava un piccolo sigaro. La simpatia istantanea di Charutinho lo aveva conquistato.

   -  Samonele (João Rubinato chiamava sempre le persone con un                                 soprannome, un suo modo di scherzare), tu conosci il samba?

-      No Charutinho, non lo conosco. Cos’è il samba?

Era da tanto tempo che Samuele non era così ironico, ma era la risposta più semplice e intelligente in quel momento.

-      Loro dicono che è un ritmo inventato a Rio de Janeiro, oppure a Bahia, non lo so. Ma il samba bello è quello fatto qui a São Paulo, na Casa Verde, no Brás, no Bexiga, na Barra Funda, na Mooca… qui il samba è molto più intelligente, più malizioso. Tu devi conoscere le canzoni di Paulo Vanzolini, sono fantastiche.

Come sempre Samuele parlava poco e lasciava parlare il nuovo amico, si divertiva con le sue storie. João Rubinato continuò:

-      Ma sei italiano, da dove vieni?

-      Da Cagliari, Sardegna

-      Dev'essere l’ultimo posto in cui il samba è passato, forse arriverà tra cento anni. Per voi italiani conoscere il samba sarebbe meglio ed io, che sono figlio di napoletani, ho fatto il “Samba Italiano”. Ti faccio sentire:

 

Gioconda, piccina mia

Va a brincare nel mare nel fondo

Ma atencione col tubarone, ouvisto

Hai capito meu san benedito?

 

Piove, piove

A tempo che piove qua, Gigi

E io, sempre io

Sotto la tua finestra

E voi senza me sentire

Ridere, ridere, ridere

Di questo infelice qui

 

Ti ricordi, Gioconda

Di quella sera in Guarujá

Quando il mare te portava via

E me chiamaste: "Aiuto, Marcello"

La tua Gioconda ha paura di quest'onda

 

Samuele e Francesco ridevano molto con quel personaggio che aveva condotto Samuele come in un viaggio sino a quel samba che accennava Joao Rubinato. Una musica teoricamente nuova per Samuele. Francesco aveva aperto uno dei migliori vini della sua collezione ed era da tanto che Samuele non beveva e si divertiva così. Arrivato il momento per Samuele di andare via, si diresse da João Rubinato e disse:

-      Non posso restare ancora un minuto accanto a te, mi dispiace Charutinho, ma non è possibile. Abito a Jaçanã. Se perdo questo treno che parte adesso alle undici, devo aspettare fino a domani mattina

-      Non ho capito niente, Samonele

-      C’è un altro motivo: se stasera non sarò tornato a casa, mia madre non si addormenterà. Son figlio unico la mia casa è vuota senza me!

Samuele uscì quasi con un sorriso nel viso, salutò Francesco Matarazzo e João Rubinato e partì. João domandò a Francesco:

-      Ma lui abita con la mamma?

-      No e neppure abita a Jaçanã, a volte lui non dice cose sensate…

-      Non l'ho capito.

La seconda sorpresa del giorno ci fu all’arrivo di Samuele a casa sua, nel Pacaembu e non nel Jaçanã. Il suo segretario lo informò appena arrivato:

-      Ci sono due persone qui in attesa: un signore nero e un ragazzo bianco. Il signore nero so chi è, tutti lo conoscono, è Pixinguinha, il musicista. Il ragazzo che è con lui non l'ho mai visto.

La sorpresa fu grande per Samuele, quando vide il suo vecchio amico Pixinguinha seduto nel divano della sua casa mentre suonava il flauto insieme a un giovane ragazzo. Il tempo era passato per i due, l'aspetto di Pixinguinha era cambiato molto, ma il timbro, la sensibilità e la melodia del flauto erano inconfondibili.

-      Amico Samuele, vedo che il tempo ha castigato più me che te. Sei ancora col viso giovanile, con un bell'aspetto. Sono contento di vederti così

-      Anche per me è una bella sorpresa, dammi un abbraccio maestro

-      Non chiamarmi maestro, io che ho imparato il samba con te

-      Ed io ho imparato il Choro con te. E ho imparato cos’è la simpatia, la gentilezza, la delicatezza e soprattutto cosa significa essere carinhoso. Hai meritato il tuo successo, qui a São Paulo si parla molto di te e si sente molto la tua musica

-      Samuele, se avessi voluto trovarmi sarebbe stato facile. Non hai voluto? Dico ciò perché non è mai stato il contrario. Ho domandato di te e ti ho cercato, non è stato facile trovarti. Ma lasciami presentare questo ragazzo che si chiama Antonio Carlos Brasileiro de Almeida Jobim, ma io lo chiamo solo Tom. È venuto da me perché voleva imparare il Choro e il Samba. Penso che il Choro io lo possa insegnare, ma il Samba io preferisco che lo impari con te! 

-      Non suono da più di trent'anni, lascia stare

-      Esercito un po’ della mia ironia. Una provocazione, peccato che hai lasciato la musica. Eri bravissimo con la chitarra e molto creativo. Ho raccontato di te a Tom durante il viaggio in treno dalla Central do Brasil alla Estação da Luz. Lui era un po’ ansioso, agitato, preoccupato. È la prima volta che viene a São Paulo per suonare, è la sua prima tournee' e lo conosco solo da una settimana. Ma è così bravo che in una settimana già capisco che sarà uno dei grandi musicisti della nostra musica. Vedi, una settimana già è sufficiente per fidarsi di una persona.

Allora Pixinguinha, con un sorriso ancora più ironico si girò verso Tom e gli raccontò una storia.

-      Tom, ti racconto una storia. Una volta, più di trent'anni fa, io venni a fare i miei primi concerti a São Paulo ed accadde una grande coincidenza: venne con me un ragazzo più o meno della tua età che conoscevo solo da una settimana, come te. Era un giovane ragazzo appena arrivato dalla Sardegna, da Cagliari, e suonava benissimo la chitarra, faceva un bello swing con la mano destra, era una bossa diversa, una bossa nuova, un ritmo che dopo chiamarono Samba, il suo nome era Samuele Basciu e tu hai adesso il piacere di conoscere questa persona importante

-      Non esagerare Pixinguinha, io non suonavo così bene, tanto che ho trascorso la mia vita negli affari, nei negozi e non nella musica. La musica l'ho lasciata indietro

-      Non era la musica che volevi lasciare indietro, Samuele, era l’amore. Il tuo problema è che hai confuso la musica con l’amore. Un uomo deve saper separare la musica dall’amore. Si deve fare musica con amore e l’amore con la musica, ma le due cose devono camminare in vite parallele, in vite diverse. Si lascia un amore per la musica ma non si lascia la musica per un amore. O forse due amori nel tuo caso, Samuele. Hai lasciato Cagliari per causa di un amore, hai lasciato Rio de Janeiro per causa di un altro amore e ha lasciato la musica per causa di due amori

-      Per parlare d'amore, hai notizie di lei?

-      Lei e Tia Ciata sono morte, con pochi giorni di differenza, d'influenza nella pandemia che c'è stata a Rio de Janeiro nel 24. Vostro figlio oggi è un grande sambista rinomato in città. Io sono andato con João Batista alla vecchia casa di Tia Ciata prima che fosse demolita per la costruzione della nuova Avenida Rio Branco. La Praça Onze è totalmente cambiata, tu non la riconosceresti mai e la casa di Tia Ciata non esiste più, purtroppo nemmeno il suo cortile, che avrebbe dovuto essere protetto come patrimonio storico dell'umanità. O almeno della storia della nostra vita, Samuele. Ti ho portato due cose che ti appartengono. Questa chitarra che era nella casa di Tia Ciata e questa cartolina della spiaggia del Poetto che è arrivata per me, a casa mia, non so come.

Samuele guardò la chitarra, nella custodia c'era scritto SAM BA, con la calligrafia di Donga, era la prova che la chitarra era la sua, era la prova che il samba era nato nel cortile di Tia Ciata quella sera indimenticabile in cui il presidente del Brasile aveva autorizzato la festa d'arrivo di Samuele. In quel momento una lacrima scese dai suoi occhi e ci fu un momento di silenzio in cui Pixinguinha e Tom lo ammirarono. La cartolina con una foto più recente della spiaggia del Poetto, irriconoscibile, piena di turisti, era sopra il tavolo. Samuele non vide che aveva qualcosa scritto dietro. Tom Jobim chiese a Samuele:

-      Per favore, suonaci qualcosa

-      E' tempo che non suono, da quando sono venuto ad abitare a São Paulo. Ma poiché ho visto quella foto della spiaggia del Poetto, ti faccio sentire una musica che ho scritto per una ragazza bellissima, che, seduto ad un tavolo esterno al bar, vedevo passeggiare in cammino verso il mare. Lei si chiamava Roberta Garau e la musica si chiama “La Ragazza del Poetto”.

 

Swing e sole nei tuoi passi
Ragazza del Poetto che passi
Se ti accorgessi
Di ogni singolo "Eja"


Tu prosegui per la strada
Un lungo samba che sinuoso
Ondeggia piano
Destando un coro di "Eja"

Oh, se per me rallentassi
Oh, se per me ti voltassi
Se la mia voce ascoltassi
Ma per te importante non è
La musica scritta per te

Basterebbe mi notassi
Ragazza del Poetto che passi
Ma non consideri mai
Il mio amore per te

 

Tom ascoltò quella canzone con molta attenzione, gli occhi brillavano, era incantato. Rimasero per ore suonando insieme diverse canzoni che Pixinguinha e Samuele facevano insieme nel cortile di Tia Ciata, incluso “Pelo Telefone”, la musica composta da Samuele, con testo collettivo di tutti quelli che erano nel cortile di Tia Ciata quella sera e che Donga aveva registrato come sua il giorno dopo. “Pelo Telefone” oggi è considerato come il primo Samba registrato ed è un punto fermo nella storia del Samba.

Alla fine della serata Samuele diede un lungo abbraccio al suo amico Pixinguinha e regalò la sua vecchia chitarra a Tom Jobim. Quel violão era il “Santo Graal del Samba”. Senza che nessuno si accorgesse, per errore, la cartolina andò dentro la custodia senza che Samuele la leggesse.

Da quel giorno non si ebbero più notizie di Samuele. Scomparve. La sua casa e le sue proprietà si fusero con le ricchezze dei Matarazzi. Non si sa dove è sepolto. Non ha lasciato un testamento, non ha lasciato una lettera, non ha lasciato nessuna informazione.

Il figlio di Samuele e Chica è Bucy Moreira che Samuele mai aveva immaginato essere suo figlio sino a quando Pixinguinha raccontò della morte di Chica. È diventato un grande percussionista e sambista a Rio de Janeiro, conosciuto principalmente per essere il nipote di Tia Ciata.

Dopo la morte di Tom Jobim, nel 1994, è stata ritrovata in un cassetto del suo appartamento a New York una cartolina della spiaggia del Poetto dove dietro era scritto:

(La cartolina)


“Caro amico Samuele Basciu,

da noi va tutto bene, vogliamo dirti che con la barca che abbiamo preso da te abbiamo fatto un'impresa di pesca e fino ad oggi viviamo molto bene qui in Sardegna. Siamo contenti.

Un ebreo chiamato Fred Figner è passato in viaggio qui a Cagliari, dicendo che veniva da Rio de Janeiro, aveva una casa discografica e faceva ricerche sulle origini della musica sarda e ha parlato di Pixinguinha e di te. Dice che non aveva più tue notizie. Scriviamo a Pixinguinha con la speranza che la lettera arrivi un giorno a te.

Prima di tutto una notizia triste, Roberta Garau è morta di una malattia sconosciuta, un paio di anni dopo la tua partenza. Lascia una figlia chiamata Samanta Basciu. Si, è esattamente questo il suo cognome. Lei doveva sposarsi con Riccardo Murru ma il matrimonio è stato cancellato perché quanto più si avvicinava la sua data, maggiore era la pancia di Roberta e Riccardo Murru non aveva avuto rapporti con lei. Non c'è stato modo di nasconderlo fino a che Roberta ha ammesso che la figlia era tua, quando la figlia è nata ha chiesto di usare il tuo cognome.

Samanta è cresciuta senza papà e praticamente senza la mamma che è morta quando aveva più di un anno, è stata cresciuta dai nonni materni. Lei ha appena compiuto trent'anni e ha cercato noi due per sapere del padre. Ha scoperto che eravamo amici. Dice che vuol conoscere suo padre, per questo ti scriviamo. Se questa lettera ti arriverà sappi che tua figlia ti cerca. Lei è una bella e brava ragazza, sposata con due figli. Samanta Basciu è una famosa pittrice. Oggi, qui in Italia, sono molto apprezzati i quadri che hanno la sua firma: SAM BA.

Un abbraccio dai tuoi amici,

Marco e Marcello”