mercoledì 17 maggio 2023

LIBERA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SAMBA DI BRESCIA


                                                  statuto accademico

 

La Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è collettiva, è sociale, è umana, è arte ed essendo arte è libera. E l’arte, essendo libera, non ammette censura.

Essendo arte libera non vede nessun confine tra le arti. Così la Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è letteratura, è musica, è teatro, è poesia, è gastronomia, è arte. Un esperimento utopico psico-socio-somatico interattivo ed educativo, reale e surreale.

La Libera Università degli Studi del Samba di Brescia non offre open days, ma open years, perché non può aprire le sue porte alla comunità per un solo giorno. La nostra università è aperta sempre, tutto l’anno, a tutti, perché pensiamo che un’università che non è sempre aperta non abbia ragione di esistere. All’Università degli Studi del Samba di Brescia ogni anno è sambatico.

Il nome della Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è semanticamente ambiguo: la Libera Università di Brescia studia il Samba di qualche altro posto? O la Libera Università che si trova a Brescia studia il Samba bresciano?? Nel dubbio, manteniamo l’ambiguità, così l’Università può trovarsi a Brescia o dovunque si voglia studiare il samba di Brescia o di altrove, anche del Brasile...

La parola Libera, per imposizione, si referisce a tutte le altre parole del nome: l’Università è libera, gli Studi sono Liberi, il Samba è Libero e Brescia è Libera.

La Laurea della Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è conseguita durante la prima lezione presenziale, quando il samba si fa già presente e vivo. Una persona laureata viene comunemente considerata come una persona che ha imparato molte cose e molto bene, che è in grado di fare ricerca ed è maggiormente capace di capire il mondo. Se è vero che una Laurea rende la persona più capace, pensante e intelligente, allora la LUSSBRE proclama i suoi studenti “laureati” già dal primo giorno: da allora in avanti la persona avrà certamente maggior rendimento lungo il suo percorso di studi sambistici.

Nella Libera Università degli Studi del Samba di Brescia si racconta, ma non si conta, siamo numerosi ma non si enumera, perché non esistono numeri. Non c’è numero di matricola, numero di identità, numero di codice fiscale e numero del numero. Non esiste burocrazia. Non esiste un ufficio amministrativo. All’Università del Samba si pensa che la burocrazia sia il grande male delle istituzioni. Non esiste una tesoreria, una cassa o un erario, anche perché non esistono i soldi. Nella Libera Università degli Studi del Samba di Brescia tutto è gratis, perché crediamo che in una società civile evoluta trasporti, sanità ed educazione debbano essere gratuiti. Non si vendono informazioni, si condividono culture e conoscenze.

L’unica cosa che conta è il ritmo. Il ritmo e non il tempo. La Libera Università degli Studi del Samba di Brescia ha stabilito, ebbene sì, qualche basilare regola di condotta:

Bisogna sempre presentarsi al samba con il sorriso nell’anima.

Bisogna avere ginga, balanço, cadencia, rebolado, molejo e jogo de cintura.

Non si può “atravessar o samba”, “pisar na bola” e “queimar o filme”.

Il tempo non è quattro, è due, ma nella verità è solo uno, perché è solo i “due”. L’ “uno” c’è, ma non c’è. L’ “uno” è sordo, mentre il surdo è nel “due”. Ma il due, “i due!”, non è bene il due. È una minuscola (“e maledetta!”) sincope. C’è un piccolo ritardino, un rallentino nel “due”. Un sgambettino.

Il curriculum rispetta il metodo CCC – Curriculum Contrarius Cronogicum. Secondo il suddetto metodo, non conta ciò che la persona ha fatto, ha studiato, né da dove venga, da chi discenda o di chi sia figlia, né altre informazioni appartenenti al passato. Il curriculum della nostra università guarda in avanti. Conta ciò che la persona ha in cuore di fare, ciò che desidera essere. Viviamo il presente e guardiamo il futuro, siamo l’avanguardia futuristica neo contemporanea del nuovo.

Infine, ma non per finire – perché questa università è sempre all’inizio, rivolta verso il samba che è eterno – la Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è una università orizzontale e non verticale. Non esistono gerarchie, né gradi, né autorità né potere. Non esiste superiorità. Nessuno è capo di nessuno. Adottiamo il sistema politico della “Dittatura Anarchica”. Dittatura perché il Rettore obbliga tutti a essere diversamente uguali, ugualmente diversi e necessariamente felici.  Anarchica perché il Rettore obbliga ciascuno a essere libero di scegliere il proprio destino. Ciascuno è allo stesso tempo rettore, professore, studente e bidello. Quando un professore tiene una lezione, lui stesso è chiamato ad imparare allo stesso tempo. Se un professore guarda i suoi studenti con superiorità, mai riuscirà a trasmettere i suoi insegnamenti con autenticità.

 

Libero Statuto Accademico ideato e redatto dal Rettore e Magnifico Vettore Marcelo Sola, ornato e disambiguato dalla scordinatrice del dipartimento di Scienze Confuse Sabina Samba. Logo ideato e illustrato dalla pulitrice di maniglie del dipartimento di grafica Chiara Abastanotti.


lunedì 10 aprile 2023

Se ela quisesse


 BréSamba


Se ela quisesse

(Vinícius de Moraes e Toquinho)

 

Se ela tivesse

A coragem de morrer de amor

Se não soubesse

Que a paixão traz sempre muita dor

 

Se ela me desse

Toda devoção da vida

Num só instante

Sem momento de partida

 

Pudesse ela me dizer

O que eu preciso ouvir

Que o tempo insiste

Porque existe um tempo que há de vir

 

Se ela quisesse, se tivesse essa certeza

De repente, que beleza

Ter a vida assim ao seu dispor

 

Ela veria, saberia que doçura

Que delícia, que loucura

Como é lindo se morrer de amor

 

La voglia e la pazzia

 

A questo punto

Stiamo tanto bene io e te

Che non ha senso

Tirar fuori i come ed i perché.

 

Cerchiamo insieme

Tutto il bello della vita

In un momento

Che non scappi tra le dita.

 

E dimmi ancora

Tutto quello che mi aspetto già

Che il tempo insiste

Perché esiste il tempo che verrà.

 

A questo punto buonanotte all'incertezza

Ai problemi all'amarezza

Sento il carnevale entrare in me.

 

E sento crescere la voglia, la pazzia

L'incoscienza e l'allegria

Di morir d'amore insieme a te

 

Vinícius de Moraes scrisse nel 1954 la sua opera Orfeu da Conceição, basata sul dramma di Orfeo ed Euridice della mitologia greca. Due anni dopo, nel 1956, Tom Jobim, con l’aiuto del chitarrista Luiz Bonfá compose le musiche. L’opera debuttò il 25 settembre al Teatro Municipal do Rio de Janeiro, con scenografie di Oscar Niemeyer.  In quel momento ha inizio la carriera musicale di Vinícius de Moraes e una delle “parcerias” (1) che diventerà famosa in tutto il mondo e sarà la più fertile della Bossa Nova.

Nel 1966, Vinícius lascia da parte per un po’ la Bossa Nova e con un nuovo “parceiro”, Baden Powell (2), scrive gli Afro-Sambas, mescolando il Samba con i ritmi del Candomblé. Anche la “parceria” di Vinícius con Baden Powell fu molto produttiva.

Vinícius, la cui origine artistica sta nella poesia, ha sempre preferito comporre con un “parceiro” a cui affidare la musica, mentre lui era più esperto nel testo. La divisione della composizione con un amico è una cosa molto comune nella musica brasiliana. Condividere la creazione e anche il successo, quando arriva, è una gioia e un elemento che consolida l’amicizia. Tra gli innumerevoli “parceiros” di Vinícius de Moraes troviamo Chico Buarque, Carlos Lyra, João Gilberto, Dorival Caymmi, Francis Hime e, in Italia, Sergio Endrigo, Sergio Bardotti, Ruggero Jacobbi e il poeta Giuseppe Ungaretti, che conobbe Vinícius de Moraes nel '37, durante il suo soggiorno in Brasile per insegnare lingua e letteratura italiana all’Università di São Paulo. Forse da questa condivisione nel fare arte, musica e produrre cultura venne la sua famosa frase: “La vita, amico, è l’arte dell’incontro.”

Sempre nel 1966, all’età di 56 anni, Vinícius conobbe un ragazzo di 20 anni di nome Antonio Pecci Filho, che suonava la chitarra con un ritmo e una sensibilità gigantesca per la sua età. Questo ragazzo, conosciuto più per il suo soprannome, Toquinho, diventerà la “parceria” più duratura della carriera musicale di Vinícius. Toquinho gli sarà “parceiro” fino alla morte, avvenuta il 9 luglio 1980. Questa “parceria”, in cui la differenza di 36 anni non fu mai un problema, era chiamata “O poeta e o violão” (3) e solo negli anni ‘70 sfornò circa venti album. Uno di questi, dal semplice titolo “Vinícius / Toquinho”, del 1975, conteneva la canzone “Se ela quisesse”, brano che non ebbe grande successo in Brasile. In questo album, la canzone che veniva trasmessa di più in radio e che è rimasta nella memoria dei brasiliani era “Onde anda voce”. “Se ela quisesse”, come diremo più avanti, diverrà conosciuta nella sua versione in italiano “La voglia e la pazzia”. Si tratta probabilmente dell’unico brano di cui la versione italiana è molto più conosciuta di quella brasiliana.



         Vinícius e Toquinho chiamavano sempre una cantante per i concerti dal vivo, così la forma “O poeta e o violão” si trasformò in “O poeta, a moça e o violão” (4). Alcune di queste registrazioni dal vivo divennero poi album classici della musica popolare brasiliana: “Vinícius de Moraes en "La Fusa" con Maria Creuza y Toquinho” (Buenos Aires - 1970), “Vinícius + Bethania + Toquinho en La Fusa” (Mar Del Plata – 1971), “Poeta, Moça e Violão” - Vinícius, Clara Nunes, Toquinho (1971), “Tom, Vinícius, Toquinho, Miúcha” (1977). Ancora oggi nei concerti di Toquinho c’è una “moça” che interpreta le sue canzoni famose.


A causa delle tempeste politiche del Brasile della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, Vinícius de Moraes e Toquinho frequentarono molto l’Italia, dove furono protagonisti di diverse apparizioni televisive e incisero tre album: “La vita, amico, è l'arte dell'incontro” (1969 – con Sergio Endrigo), “Per vivere un grande amore” (1974) e “La voglia, la pazzia, l'incoscienza, l'allegria” (1976). In questo ultimo, il più conosciuto, la “moça” invitata a cantare con loro era Ornella Vanoni. Oltre alle composizioni di Vinícius e Toquinho sono presenti brani di Tom Jobim e Chico Buarque de Hollanda. Divenne presto un classico raggiungendo il sesto posto nella classifica dei dischi più venduti. Il disco fu inciso in presa diretta. I cori e le parti orchestrali, con gli arrangiamenti di Gianfranco Lombardi, vennero sovrapposti in un secondo momento. Si presenta come un'opera segnata da un filo conduttore unico, un album dove spesso non vi è pausa né termine tra un pezzo e l'altro, ma sembrano quasi la continuazione l’uno dell’altro.

 

(1) la parola “parceria” potrebbe essere tradotta come associazione o collaborazione, mentre “parceiro” come compagno, collaboratore o collega di composizione; il termine portoghese porta con sé una semantica affettuosa e di complicità tipica di compositori e artisti brasiliani, per questo manteniamo la forma originaria.

(2) Non si tratta di R. Baden-Powell, militare britannico fondatore dello scoutismo, bensì del compositore brasiliano Baden Powell de Aquino.

(3) Il Violão è un tipo di chitarra che può ricordare quella classica; si tratta di uno strumento estremamente popolare in Brasile.

(4) “Il poeta, la ragazza e il violão.”


Testo scritto da Marcelo Sola e Sabina Samba


domenica 5 febbraio 2023

Mas que nada




Mas que nada

(Jorge Ben)

 

Mas que nada

Sai da minha frente, eu quero passar

Pois o samba está animado

O que eu quero e sambar

 

Este samba

Que é misto de maracatu

E samba de preto velho

Samba de preto tu

 

Mas que nada

Um samba como este tão legal

Você não vai querer

Que eu chegue no final

 

Traduzione

 

“Mas que nada” (1)

 

ma dai

Togliti di mezzo, voglio passare

Perché il samba è rallegrato

Quello che voglio è sambare

 

questa samba

Che è un misto di maracatu

é samba di nero vecchio

samba di nero tu

 

ma dai

Un samba come questo così fantastico

Non vorrai

Che io possa arrivare alla fine

 


La musica è un linguaggio profondamente universale. Ma, oltre a questa universalità, ha anche la capacità di connetterci con l'energia e la cultura di chi la interpreta. Forse è da qui che nasce il clamoroso successo mondiale di “Mas, que nada”, una canzone composta, suonata e cantata da Jorge Ben, nel 1962, che ha aperto le porte al passaggio della gioia e della ginga della cultura brasiliana.

Io, brasiliano, sono stato lontano dal Brasile da bambino, per circa due anni. “All'estero”, la mia famiglia era alla ricerca di modi per continuare la loro brasilianità, rafforzando i legami con altri brasiliani e andando in posti che potessero avere un “sapore di Brasile”. Residenti nella città di Asunción (Paraguay), abbiamo scoperto la “Churrascaria Brasileira”, dove, tutta la domenica, un gruppo suonava musica tradizionale del mio paese, soprattutto il samba. Fu così che, all'età di nove anni, ebbi il mio primo contatto con “Mas, que nada!”, di cui VHS mostrano quel ragazzo accanto alla band, attento a tutto nella musica e che batte timidamente il piede durante gli spettacoli,  innamorato dell'energia della band e del Brasile.

Solo molto tempo dopo ho capito l'importanza di Jorge Duílio Lima Menezes, Jorge Ben, per la musica brasiliana. (Jorge Ben nel 1963: il musicista assumerà in seguito il nome d'arte di Jorge Benjor, e, successivamente, Jorge Ben Jor. Alcuni ipotizzano che il cambiamento possa essere avvenuto per la numerologia del nome, ma molto probabilmente fu per evitare qualsiasi confusione con il nome di George Benson, chitarrista e cantante jazz nero statunitense, anche lui all'inizio della sua carriera all'epoca.)

"Mas que nada" è stato il primo singolo registrato e il primo successo della lunga carriera di Jorge Ben, carioca, flamenguista e astemio. Nero, figlio di padre bianco e madre nera (il cui nonno materno veniva dall'Etiopia), era cresciuto ascoltando dischi di rock 'n' roll, soprattutto di Chuck Berry. Da adulto, Jorge Ben iniziò a farsi conoscere nel quartiere di Copacabana, quando suonava la chitarra e cantava nel leggendario “Beco das Garrafas” – una stradina dove i bar con musica dal vivo raccoglievano un pubblico desideroso di bossa nova. Fu durante quelle notti che Jorge Ben conobbe a fondo questo stile (lo stesso di Vinícius de Moraes, Tom Jobim e João Gilberto) e anche il samba-jazz (di Wilson Simonal e Sérgio Mendes).

"Mas che nada" fu pubblicato su disco nell'agosto del 1963, quando il suo compositore aveva 24 anni. Il brano di Jorge Ben assorbì elementi dell'Afropop degli Stati Uniti dell'epoca (come le note cantate in falsetto e il ritmo ritmato della chitarra) e si mescolò a batteria, contrabbasso acustico e trombone, che richiamavano arrangiamenti di bossa nova e samba- jazz. Tuttavia, il suo "samba swingado" è più ballabile e popolare di quello che si conosceva all'epoca. Lo stesso Jorge Ben disse all'inizio della sua carriera che, se ci fosse un nome per il ritmo delle sue canzoni, sarebbe “sacundin sacunden” (2), che poi sarebbe stato ribattezzato “sambalanço” (3). A proposito di questo neonato stile musicale, il giornalista e ricercatore musicale Ricardo Alexandre attesta che, “in assenza di inventare un'etichetta, e in assenza di qualcuno che facesse un suono del genere, il primo LP di Jorge Ben si intitolava Samba Esquema Novo” – album che vendette 100.000 copie nei primi due mesi, qualcosa di ammirevole per l'epoca.

Il testo di "Mas, que nada!" sottolinea questo nuovo volto della musica in Brasile e parla di come aprire percorsi per consolidarsi ("togliti di mezzo, voglio passare"). Dice anche che "questo samba, che è un misto di maracatu, / è samba di nero vecchio / samba nero, tu", attestando la sua origine razziale nera, in un ambiente segnato dalla musica bianca, in particolare la bossa nova. Anche il ritornello della canzone rende omaggio all'entità Obá (4), recitata tre volte. Oltre alla conoscenza culturale-religiosa, il coro di Jorge Ben è responsabile di un suono universale, facendo cantare all'unisono persone di lingue e culture diverse.

Fu nello stesso anno, il 1963, che Sérgio Mendes, un prominete pianista e arrangiatore di 22 anni, dello stesso Beco das Garrafas di Rio de Janeiro, ascoltò la musica di Jorge Ben e rimase incantato. Lui, che aveva già avuto l'esperienza di esibirsi con altri musicisti brasiliani alla Carnegie Hall di New York, invitò Jorge Ben a suonare la chitarra e cantare nella sua big band per un tour in Nord America. Questi concerti si sono svolti nel corso di un anno e hanno ampliato il gusto internazionale per la musica brasiliana. A causa delle situazioni di razzismo vissute da Jorge Ben in “América”, terminato il contratto del tour, ha deciso di tornare definitivamente nel suo paese. Il riconoscimento di "Mas, que nada!" nel mondo fece un salto ancora più grande quando, nel 1966, Sérgio Mendes registrò nuovamente la canzone con il suo gruppo di allora, Brasil '66, vendendo 500.000 copie ed entrando nella top 10 negli Stati Uniti e al numero 2 della classifica jazz di Billboard.

Secondo il cantante e compositore Lenine, Jorge Ben era un solitario nella colonna sonora. Pur muovendosi tra movimenti diversi, avendo partecipato a samba, maracatu, Tropicália (di Caetano Veloso, Gilberto Gil, Os Mutantes e tanti altri nomi fondamentali della musica brasiliana), è stato soprattutto un artista distaccato dai gruppi, seguendo la propria strada. Questo percorso è stato aperto prima del programma televisivo Jovem Guarda, Tropicália e dei Festival di musica popolare brasiliana (quando il termine MPB – Musica Populare Brasiliana è stato usato per la prima volta, nel 1965). Ecco perché una parte dei critici musicali brasiliani afferma che Jorge Ben è stato “il primo compositore di MPB”, anche prima che il concetto avesse un nome.

Sono pochi i musicisti al mondo che, dal primo album uscito, sono riusciti, come Jorge Ben, a diventare compositori internazionali, facendo interpretare brani da decine di artisti in vari stili, provenienti dagli Stati Uniti all'Italia, passando per il Paraguay. Come mi disse una volta il musicista e produttore culturale Marcelo Sola, “Mas, que nada è quasi un ambasciatore della musica brasiliana, della cultura brasiliana nel mondo; è come Pelé!”

È impressionante quanto la cultura del Brasile sia segnata in tutto il mondo dalla sua allegra energia, dalla sua forza e dalla sua ginga – il suo sambalanço!

 

1 - Il titolo è un'espressione del portoghese brasiliano ed assume vari significati a seconda del contesto, fra i quali "ma dai", "ma certo" o "figurati".

2 - gioco linguistico con il verbo portoghese “sacudir”, che significa far dondolare il corpo da una parte all'altra, in forte agitazione; questa espressione è usata dal cantante in alcune sue canzoni. 

3 - altro neologismo anch'esso molto diffuso, in cui samba è accostato alla parola balanço, che significa altalena o oscillazione.

4 - Nelle religioni di origine africana, Obá è la terza e più antica donna dell'orixá Xangô. Secondo la leggenda dei popoli di lingua yoruba, questa donna guerriera e coraggiosa finì per essere personificata nel fiume Obá (in Nigeria).


Texto scritto da Raphael Aguirra de Andrade, tradoto da Marcelo Sola e Barbarella Happy

sabato 23 aprile 2022

LIBRO: STORIE E LEGGENDE DEI SAMBA

isbn: 979-12-80148-05-6
         

            In un mercoledì sera della primavera del 2017, la batteria della scuola di samba bresciana Legau da Metro era pronta per cominciare la sua prova. Il pezzo che stavano per suonare era “Liberdade, liberdade, abre as asas sobre nos” della Escola de Samba Imperatriz Leopoldinense. Il mestre Efo, Stefano Capuzzi, direttore della batteria, mi chiese di raccontare ai ritmisti della batteria di cosa parlasse il testo della canzone. Con l’italiano di un immigrato arrivato in Italia da solo un anno, raccontai un po’ della storia della proclamazione della Repubblica Brasiliana e cosa fosse un samba-enredo. Francesco Scuderi, che suonava la caixa nei Legau, mi suggerì di mettere questa storia per iscritto. Risposi che lo avrei fatto con piacere, ma il mio italiano era pessimo ed era necessario che qualcuno lo controllasse. Barbarella Happi, che suonava il surdo nei Legau, si offrì  per la revisione. Così nacque il primo testo.

Nella stessa sera Sara Trementini, che suonava l’agogô nei Legau, mi raccontò una sua storia. Mi disse che si stava laureando in canto jazz al conservatorio di Milano e la sua tesi di Laurea era su Joao Bosco. Mi chiese se avessi potuto aiutarla a comprendere i testi. Ora la sfida si faceva ancora più grande. I testi delle canzoni di Joao Bosco, scritti da Aldir Blanc, sono estremamente complessi, perché mescolano una fine poetica con sfumature dei fatti politici del paese, quindi legati all’epoca in cui furono scritti. O Bêbado e a equilibrista era una delle canzoni. Così è nato il secondo testo.

Ma una curiosità mi sorse: come mai questa ragazza bagnolese conosceva Joao Bosco? Sara Trementini mi rispose che le avevano regalato un CD di Elis Regina registrato dal vivo in Montreux ed era diventata loro fan. Adesso erano due le cose insieme: una ragazza che conosce ed è fan del meglio della musica brasiliana, e che inoltre si stava laureando in canto. Subito chiesi se potessimo provare a suonare queste canzoni. Violão e voz. Per mia fortuna lei rispose di sì. Così nacque la nostra amicizia e la nostra collaborazione, dalla quale sono nati i video per il blog e il gruppo musicale chiamato BrèSamba.

Nel corso di questi quattro anni, sono aumentati i testi e i musicisti di BrèSamba. La scelta dei brani arriva un po’ a caso, senza molta logica. A volte è il testo di una musica che ispira la registrazione di un video, altre volte ancora è la registrazione di un video a ispirare il testo. E ogni volta sempre più amici hanno preso parte al progetto. Tra questi c’era Sabina Samba, arrivata a Brescia per... amore. Fortunato Giacomo, che suonava la caixa nei Legau, ma fortunati anche noi del BrèSamba e del blog Storie e Leggende dei Samba, perché Sabina ha deciso di suonare nel gruppo e collaborare con noi per i testi e le traduzioni.

Con la lentezza che richiede la lettura di uno scritto e la velocità di internet, i testi del blog sono giunti in Brasile. Così è nata un’altra peculiarità di questo libro: alcuni contributi, i cui originali in portoghese si trovano in appendice, sono stati composti da scrittori brasiliani e da noi tradotti. Otto autori in tutto: Wellington Wella, Sérgio Degrande, Cristhiano Lelé, Pedro Mariano, Anderson Borges Costa, Fernando B. Delmonte, Luciana Worms e Joao Alexandre, tutti di grande capacità letteraria e grandi esperti della musica brasiliana, che hanno arricchito questo progetto, aggiungendo eterogeneità e spessore.

Alla fine, un semplice gioco tra amici è cresciuto ed è diventato questo progetto senza sapere che sarebbe diventato un libro. Adesso, finito e pubblicato, quest’opera mostra come è forte il lavoro di gruppo. Oppure, come ricorda l’amico Camillo Scaglia parafrasando Vinicius de Moraes: “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”.


Marcelo Sola



Avevo più o meno dieci anni quando ho incontrato il Brasile. Era l’Arca di Vinícius de Moraes, la voce quella di Sergio Endrigo. E subito dopo, più o meno la stessa età, ho scoperto Mina e Ornella Vanoni cantare il Brasile. Per dirla con Fabio Concato, “non capivo che lingua parlasse, ma mi era simpatica”. In realtà era qualcosa di più, era pura magia.

Avrei scoperto presto che si trattava di amore come di politica, di identità e cultura, di protesta e poesia, che nella più sfrenata allegria si nascondeva una profonda tristezza (per favore vai via).

Avrei scoperto che quella musica, quella cultura è il frutto di mille culture, incontro di genti, incrocio di pensiero e fusione di voci, tutte diverse e pronte ad ascoltarsi. Che la parola più cantata non è amor, carnaval o saudade ma “janela”, una finestra sempre aperta sul mondo e sugli altri, perché “la vita, amico, è l’arte dell’incontro” (grazie Vinícius).

In questo lavoro troverete due lingue che si cercano e si abbracciano, e la voglia e la pazzia di raccontarle quelle lingue, attraversarle, esplorarle e metterle a confronto, una di fronte all’altra, per capire cos’hanno da dirsi. Due lingue che non hanno misura né mai l’avranno, né vergogna, né giudizio (grazie Chico). Voi ascoltatele, per favore.


Camillo Scaglia


sabato 5 marzo 2022

Flor de Lis

 


Cesar Moreno - Flor de Lis


Flor di Lis

(Djavan)

 

Valei-me, Deus

É o fim do nosso amor

Perdoa, por favor

Eu sei que o erro aconteceu

Mas não sei o que fez

Tudo mudar de vez

Onde foi que eu errei?

Eu só sei que amei

Que amei, que amei, que amei

 

Será, talvez

Que minha ilusão

Foi dar meu coração

Com toda força

Pra essa moça me fazer feliz

E o destino não quis

Me ver como raiz

De uma flor de lis

E foi assim que eu vi

Nosso amor na poeira, poeira

Morto na beleza fria de Maria

 

E o meu jardim da vida

Ressecou, morreu

Do pé que brotou Maria

Nem margarida nasceu

 

 

Giglio

 

Vale, Dio

È la fine del nostro amore

perdona, per favore

Lo so che è accaduto un errore

Ma non so cosa sia successo

tutto cambia irrimediabilmente

Dove ho sbagliato?

So solo che ho amato

Che ho amato, che ho amato, che ho amato

 

Sarà, forse

Che la mia illusione

È stato dare il mio cuore

con tutte le mie forze

a questa ragazza che mi rende felice

Ma il destino non ha voluto

vedermi come una radice

di un giglio

Ed è così che ho visto

Il nostro amore nella polvere, polvere

Morto nella fredda bellezza di Maria

 

E il mio giardino della vita

è appassito, è morto

Dalla pianta da cui germogliò Maria

non è nata nemmeno margherita

 

Una delle leggende più grande nella storia di Djavan è il brano “Flor de Lis”. Si dice che Djavan compose questa musica per sua figlia Margarida e per sua moglie Maria che sono decedute insieme durante il parto. Il medico chiese a Djavan di scegliere quale delle due volesse salvare. Lui disse che voleva salvare entrambe, ma morirono sia la madre, sia la bambina.

Ma questo è una grande leggenda ed è stata negata diverse volte dallo stesso autore in numerose interviste. È vero che Djavan è stato sposato con Maria Aparecida dos Santos Viana dal 1972 al 1998, ma lei è ancora viva e non hanno perso nessuna figlia. È stata una grande fake news che è girata nel web.

Secondo Djavan, le sue musiche non sono autobiografiche. La musica parla semplicemente di un amore che è finito per un grande errore commesso da una delle parti. Ma è finito e concluso senza molto rancore. Secondo le parole dell’autore:

“Non ho mai avuto un'impressione di tristezza per questa canzone, anche se parla di un grande amore che si è concluso male. È una canzone che racconta una storia, in modo spensierato, e questo è un malinteso [con il ritornello], ma non si compiange. Si sta concludendo la storia d’amore che ha appena raccontato.”

La musica Flor di Lis è stata registrata nel primo album di Djavan, nel 1976. Djavan aveva partecipato al “Festival Abertura”, a Sao Paulo con la musica “Fato consumado” con cui ha vinto il secondo posto. Grazie a questa esibizione, ha ricevuto l’invito a registrare un album con le sue canzoni e “Flor di Lis” è la prima musica del lato A del disco. Fu il primo successo di Djavan.

Djavan Caetano Viana è nato nella regione dell’Alagoas, nella città di Maceio, il 27 gennaio 1949 in una famiglia povera, da padre olandese e madre afrobrasiliana nera. Era una mescolanza tipica del Brasile, dove l’idea di razza si fonde nel popolo mulatto, cafuso e mameluco. (In portoghese il mulato è l’incrocio tra un bianco e un nero; cafuso è l’incrocio tra un bianco e un indigeno; mameluco è l’incrocio tra un nero e un indigeno).

Dopo avere imparato a suonare la chitarra da autodidatta, formò a 18 anni il gruppo musicale LSD (Luce, Suono e Dimensione) ancora nell’Alagoas. A 24 anni decise di trasferirsi a Rio de Janeiro per seguire la carriera musicale. A Rio de Janeiro le sue composizioni cominciarono a essere conosciute. Nana Caymmi registra “Dupla traição”, Maria Bethânia registra “Álibi”, Roberto Carlos registra “A ilha”, Gal Costa registra “Açaí” e “Faltando um pedaço” e Caetano Veloso registra la musica Sina cambiando il verbo “caetaneare” per il verbo “djavaneare”. Negli anni ‘80 Djavan inizia la sua carriera internazionale e viaggia a Los Angeles per registrare il suo album “Luz” (1982). Il brano “Samurai” vanta la partecipazione di Steve Wonder che suona l’armonica a bocca. Nel 2015 ha ricevuto un Latin Grammy Award onorario per tutta la sua opera.

In Italia, Loredana Bertè e Fiorella Mannoia hanno registrato brani di Djavan. Loredana Bertè registrò i brani “Jazz”, dall'album del 1983 (titolo originale Sina) e “Petala”, dall’album “Savoir faire” del 1984. Nel 1985, Loredana registrò l’album “Carioca” solo con canzoni di Djavan. I testi in italiano sono di Enrico Ruggeri e Bruno Lauzi. “Banda Clandestina”, “Topazio”, “Seduzir”, “Samurai” e “Acqua” sono alcuni brani di questo bellissimo album che ha però un nome sbagliato: si sarebbe dovuto chiamare “Alagoano” al posto di “Carioca”: Carioca è chi è nato a Rio de Janeiro e Alagoano è chi è nato nell’Alagoas, regione dove è nato Djavan.

 Testo scritto da Marcelo Sola e Barbarella Happi

 


giovedì 9 dicembre 2021

Chega de Saudades


 Chega de Saudades

(Tom Jobim e Vinicius de Moraes)

 

Vai minha tristeza

E diz a ela que sem ela não pode ser

Diz-lhe numa prece

Que ela regresse

Por que eu não posso mais sofrer

Chega de saudade

A realidade é que sem ela não há paz

Não há beleza é só tristeza e a melancolia

Que não sai de mim

Não sai de mim, não sai.

 

Mas se ela voltar que coisa linda, que coisa louca

Pois há menos peixinhos a nadar no mar

Do que os beijinhos que eu darei na sua boca

Dentro dos meus braços os abraços

Hão de ser milhões de abraços apertado assim

Colado assim, calado assim

Abraços e beijinhos

E carinhos sem ter fim

Que é pra acabar com esse negócio

De você viver sem mim

 

 

Chega de Saudade

(Giorgio Calabrese)

 

Va da lui, tristezza

E tieni a mente che

Vorrei soltanto da te

Che mi comprendesse e decidesse

Di ritornare qui da me

Stare separati

Ha dimostrato

Che da soli non c'è pace

Né bellezza ma

Tristezza, malinconia

Che non passano

Non terminano mai.

 

Va da lui, tristezza

Sospirando che sei stata

Sempre con me

Che monotonia

La compagnia che ci siam fatte io e te

Stare separati m'è bastato

Ed è tempo di riprendere una vita

Che decisamente non sia

Una lunga fila di inutilità.

 

Che monotonia

La compagnia che ci siam fatte io e te

Stare separati m'è bastato

Ed è tempo di riprendere una vita

Che decisamente non sia

Una lunga fila di inutilità.

 

 

No more Blues

(Jon Hendricks)

 

I'm going back home

I promise no more to roam

Home is where the heart is

The fun and parties

My heart's been right there all along

No more fears

And no more sighs

No more tears

I've said my last good-byes

If trouble beckons me I swear I'm going to refuse

I'm going to settle down

There'll be no more blues.

 

Everyday when I am far away

My thoughts turn homeward, forever homeward

I've travelled round this world in search of happiness

But all the happiness I found was in my hometown

I'm going back home

I'm through with all my wanderings

Now I'll settle down and never roam

Find a man and make a home

When we settle down

There'll be no more blues

Nothing but happiness

When we settle down

There'll be no more blues

 

 

Toquinho e Vinicius de Moraes, nel 1974 registrano un album chiamato semplicemente “Vinicius e Toquinho”. In questo album, uno dei brani era “Carta ao Tom 74” i cui primi versi erano:

 

Rua Nascimento Silva, cento e sete

Você ensinando pra Elizete

As canções de canção do amor demais

 

Nel 1958 Tom Jobim viveva in un appartamento il cui indirizzo era indicato nel primo verso della canzone e insegnava alla cantante Elizete Cardoso le canzoni dell’album “Canção do amor demais”. In questo album il primo pezzo era “Chega de Saudades”, composta da Vinicius de Moraes e Tom Jobim, come tutti gli altri brani dell’album. In questo suonava la chitarra un giovane ragazzo chiamato “João Gilberto”. Era la sua prima registrazione in studio ed era la prima volta che lavoravano insieme i tre più importante artisti della “Bossa Nova”. Questo album è di solito considerato il primo in assoluto della “Bossa Nova” e “Chega de Saudades” è accreditata come la sua musica simbolo.


Vinicius de Moraes e Tom Jobim avevano già collaborato nel 1956 nell’opera “Orfeu da Conceiçao”. La casa discografica “A Festa”, del giornalista Irineu Garcia, era specializzata nelle pubblicazioni di poesie recitate da importanti attori e artisti dal tempo. Irineu Garcia lavorava insieme a Vinicius nell’organo di diplomazia del Ministero dell’Estero brasiliano: “Itamarati”. Irineu già aveva voglia di fare un disco di poesia di Vinicius e così venne l’idea di lavorare su questa poesia musicata da Tom Jobim. Tutto ciò è facilmente comprensibile già guardando la copertina dell’album su cui è scritto: Poesia “Vinicius de Moraes” e musica “Tom Jobim”. Irineu voleva invitare Dolores Duran per cantare questo brano, ma Vinicius insistette per avere la famosa Elisete Cardoso, che in quello stesso anno stava registrando anche la colonna sonora del film “Orfeu Negro” che nell’anno successivo, nel 1959, vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes e portando la musica di Tom Jobim e Vinicius in Europa.


João Gilberto registra nel 1959 il suo primo album: “Chega de Saudades”. La prima e più importante musica, che dà il nome all’album, è interpretata con un ritmo molto cadenzato. Questo album vende in un anno centomila copie e per questo, la rivista “Manchete” pubblica una reportage speciale su João Gilberto. Nella copertina appare l’immagine di João e il titolo: “Samba Bossa Nova”. Era la prima volta che si usava il termine “Bossa Nova”.

Insieme alla “Bossa Nova”, il brano “Chega de Saudades” è uno strepitoso successo e negli anni 60 sarà una delle musiche più suonata tra i musicisti jazz. È stata registrata da diversi cantanti brasiliani e alcuni stranieri come Stan Getz, Quincy Jones e Dizzy Gillespie. In inglese la canzone si chiama “No more blues” e il suo testo è stato scritto da John Hendricks. In Italia, Mina la registra nel suo album “Stessa spiaggia, stesso mare” nel 1963 con testo in italiano di Giorgio Calabrese che, purtroppo, non contiene la parte B della canzone, quella con l’armonia più complessa e interessante. Forse perché in Italia abbia “più pesciolino a nuotare nel mare che i bacini che io darò nella tua bocca”.

 

Testo scritto da Marcelo Solla e Barbarella Happi