domenica 30 giugno 2024

Romaria

 

Romaria - Laura Gatta

Romaria

(Renato Teixeira)


É de sonho e de pó

O destino de um só

Feito eu perdido em pensamentos

Sobre o meu cavalo

É de laço e de nó

De gibeira ou jiló

Dessa vida cumprida a sol


Sou caipira, Pirapora

Nossa Senhora de Aparecida

Ilumina a mina escura

E funda o trem da minha vida


O meu pai foi peão, minha mãe solidão

Meus irmãos perderam-se na vida

A custa de aventuras

Descasei, joguei, investi, desisti

Se há sorte eu não sei, nunca vi


Sou caipira, Pirapora

Nossa Senhora de Aparecida

Ilumina a mina escura

E funda o trem da minha vida


Me disseram, porém, que eu viesse aqui

Pra pedir em romaria e prece

Paz nos desaventos

Como eu não sei rezar, só queria mostrar

Meu olhar, meu olhar, meu olhar


Sou caipira, Pirapora

Nossa Senhora de Aparecida

Ilumina a mina escura

E funda o trem da minha vida



Pellegrinaggio


È sogno e polvere

Il destino di un uomo solo

Come me perso nei pensieri

sul mio cavallo

È laccio, è nodo

Di gibeira (1) o jiló (2)

Di questa vita compiuta nel sole


Sou caipira, Pirapora

Nossa Senhora de Aparecida (3)

Illumina la miniera oscura

E fonda il treno della mia vita


Mio padre era un contadino, mia madre la solitudine

I miei fratelli si sono persi nella vita

cercando avventure

Ho lasciato (il mio amore), ho giocato, ho investito, ho desistito

Se esiste la fortuna non lo so, non l'ho mai vista


Ma mi hanno detto però di venire qui

Per chiedere in pellegrinaggio e in preghiera

la pace nelle mie disavventure (4)

Dato che non so pregare, volevo solo mostrare

Il mio sguardo, il mio sguardo, il mio sguardo



(1) Nodo “de gibeira” è un tipo di nodo per legare la sella al cavallo.

(2) Solanum aethiopicum: verdura tipica del Brasile, mangiata soprattutto dalle persone umili.

(3) Questa frase è intraducibile per rispetto alla cultura di un popolo. Caipira è contadino, abitante della campagna. Pirapora do Bom Jesus è un piccolo paese vicino a São Paulo da dove parte il pellegrinaggio verso Aparecida do Norte. Nostra Signora di Aparecida è la santa patrona del Brasile.

(4) La parola “desaventos” in portoghese non esiste, o non esisteva fino a questo momento. Un neologismo. Renato Teixeira pensava che la parola esistesse e l’ha inserita nella canzone, qui l’abbiamo tradotta come disavventure.



La devozione per Nossa Senhora de Aparecida, conosciuta in Italia come la Madonna dell’Immacolata Concezione, fu una delle tante cose che i colonizzatori portoghesi portarono in Brasile.

Nel 1717 il Brasile era diviso in Capitanerie Ereditarie (regioni che diventeranno poi i cosiddetti estados, ovvero stati federali) e il Capitano Pedro Miguel de Almeida Portugal e Vasconcelos, conte di Assumar e governante della Capitania de São Paulo e Minas de Ouro era di passaggio a Guaratinguetá, una piccola cittadina nella Vale do Paraiba, dove passa il fiume Paraiba do Sul.  Storie raccontano che in occasione dell’arrivo del Capitano, i cittadini della zona andarono a pesca per preparare un banchetto degno. Sfortunatamente essi non pescarono alcun pesce ma soltanto

una piccola statua, prima il corpo e poi la testa. Essa rappresentava la Vergine Maria. Poco dopo i pescatori fecero un ultimo tentativo, gettarono le reti e stavolta pescarono così tanto pesce da poter sfamare tutti, dal governatore agli schiavi, una vera e propria pesca miracolosa. Questo fu il primo miracolo dopo l’apparizione di Maria, chiamata per questo Aparecida. Dopo questo avvenimento, i pescatori conservarono la statua nella loro casa e, successivamente,  i figli vi costruirono una piccola cappella dove pregare. Un secondo miracolo vide rompersi la catena che uno schiavo di passaggio portava ai piedi. Un miracolo per i neri, a rappresentare l’abolizione dalla schiavitù. Aparecida non fa distinzioni, per questo anche molti poveri e molti neri ne sono devoti. 

Dopo un primo santuario, per ospitare la statua ormai visitata in continuazione, venne poi costruita una grande basilica che, nel 1980, verrà consacrata da Giovanni Paolo II. 

Romaria significa pellegrinaggio. I pellegrini, di solito a cavall, ma a volte anche in bicicletta o a piedi, partivano da Pirapora do Bom Jesus, un piccolo paese sessanta chilometri a ovest della gigantesca città di São Paulo per poi proseguire verso Taubaté, la città di Monteiro Lobato e Mazzaropi (simboli della cultura caipira brasiliana, il primo scrittore e il secondo attore). Quaranta chilometri dopo Taubatè, si arriva finalmente al Santuario di Nossa Senhora de Aparecida, dove i pellegrini possono incontrare la statua della Santa, mostrare la propria fede e devozione oppure semplicemente posare su essa il proprio sguardo.

La canzone Romaria, composta da Renato Teixeira, è una canzone semplice ma che è diventata un inno alla devozione per Nossa Senhora de Apareciada. È la canzone dei peregrini e dei fedeli che si recano alla Basilica di Aparecida do Norte. Renato Teixeira de Oliveira è un nome importante della musica brasiliana, uno dei grandi compositori brasiliani e (r)innovatore della musica caipira: la musica dei contadini brasiliani, del popolo della campagna che lavora con l'agricoltura e l’allevamento. Renato nasce a Santos, vive a Ubatuba e a soli 14 anni lascia la costa per trasferirsi a Taubaté, un paese della Vale do Paraiba che, trovandosi vicino ad Aparecida do Norte, era continuamente attraversato dai numerosi pellegrini. Nato in una famiglia di musicisti, dopo il suo arruolamento militare obbligatorio, Renato si trasferì a São Paulo con l'intenzione di vivere di musica. Il suo primo lavoro fu in un’agenzia di jingles pubblicitari. 

Un giorno, seduto da solo sul pavimento di casa, Renato iniziò a ricordare le emozioni che sentiva al vedere i pellegrini passare a Taubaté, la sua fede, la sua speranza e la sua gratitudine.  Compose così Romaria. Dovette però aspettare tre anni per trovare qualcuno che la registrasse. Al tempo infatti, la musica caipira non era appetibile per le grandi etichette discografiche. Dopo aver registrato la canzone in diversi nastri K7, Renato iniziò a visitare tutti i discografici di São Paulo e Rio de Janeiro senza avere riscontri positivi fino a quando, un giorno del 1977, il suo telefono squillò. Dall’altra parte una voce femminile: “Sono Elis Regina, vorrei parlare con Renato Teixeira, vorrei registrare Romaria.” Da questo giorno la vita e la carriera di Renato Teixeira cambiarono velocemente. Grazie alla voce della più grande cantante brasiliana di tutti i tempi, la sua canzone diventò un enorme successo, arrivando a tutte le radio del Brasile. Un giorno, Renato uscendo dal suo appartamento per prendere un caffè, vide un passante fischiettare Romaria mentre passeggiava. La sua prima reazione fu di spavento, quasi un po’ arrabbiato pensò: “Ma chi è che passa fischiettando la mia musica!” per poi realizzare che Romaria in realtà non era più sua. La canzone ormai apparteneva a un'intera nazione, a un popolo. Un patrimonio culturale dei brasiliani. Nella sua ultima intervista in TV, Elis Regina, ridendo, disse che Romaria cambiò la vita di Renato anche in un altro modo: “Renato costruì i muri della sua casa grazie a Romaria, in attesa di registrare un'altra canzone per costruirne il tetto.” Romaria ebbe inoltre una grande importanza nella musica caipira perché riuscì a portare questo genere musicale a un livello più alto aprendo le porte anche ad altri cantanti. 

In alcune occasioni Renato Teixera ebbe l’opportunità di aprire i concerti di Luiz Gonzaga (forse il cantante più popolare del Brasile, autore di Asa Branca, una delle canzoni più famose tra i brasiliani) cantando come ultima canzone Romaria, con una grande partecipazione del pubblico. In una di queste occasioni egli, scendendo dal palco, incontrò Luiz Gonzaga che, prima di iniziare il proprio concerto gli disse: “Hai cantato la tua Asa Branca, Sr. Teixeira. Tra trent’anni tu capirai ciò che ti ho detto e fammi un favore: cantala sempre come fosse la prima volta.” 

Innumerevoli sono le storie e le leggende su questo brano, così come tantissime sono anche le sue diverse versioni. Romaria è infatti uno dei pezzi più reinterpretati della musica brasiliana. Sono più di cento i cantanti che ne hanno dato una propria versione. Leon Gieco, importante cantante argentino, ha ad esempio cantato la famosa versione in spagnolo.  Per Renato Teixeira, una delle versioni più importanti di Romaria fu però quella di Maria Rita, durante un concerto in omaggio a sua madre Elis Regina. Quando Elis Regina registrò la canzone nel 1977, Maria Rita ancora non era nata (Elis all’epoca era incinta di sette mesi) mentre aveva solo quattro anni quando Elis morì il 19 gennaio di 1982. Anche Maria Rita diventa una grande cantante ma, nella sua carriera , non aveva mai cantato canzoni di sua madre prima del 2012, quando per un concerto-tributo cantò solo brani famosi di Elis Regina. Al momento di Romaria, Maria Rita, non riuscì a finire la canzone per l’emozione ma le sessantamila persone del pubblico le vennero in soccorso cantando con lei. Maria Rita dichiara: “È una canzone che mi commuove molto e che tocca il mio difficile rapporto con la fede: ho sempre avuto molte domande e non riesco a comprendere un Dio che toglie una madre a una bambina. Questa canzone tuttavia mi avvicina alla fede e a mia madre.”

Durante il suo viaggio in Brasile, il 4 luglio 1980, Papa Giovanni Paolo II visita anche Aparecida do Norte per consacrare la Basilica di Aparecida come la Cattedrale del Brasile. Le sue prime parole al pubblico quel giorno sono state: “Viva a mãe de Deus e nossa mãe” (Viva la madre di Dio e nostra madre) per poi assistere alla versione di Romaria cantata da un coro di 300 mila voci.  

Nossa Senhora de Aparecida è quindi il simbolo più importante della fede dei brasiliani. Nossa Senhora è la Santa nera, è il volto del Brasile. Romaria non è solo una canzone, è soprattutto una preghiera.

Testo scritto da Elisa Bonzi e Marcelo Sola


venerdì 28 giugno 2024

Se il Samba fosse Teatro

             Alberodel Teatro dell'Oppresso - interpretazione di Stefania D'Amato
 

Il teatro brasiliano, per motivi coloniali, si ispira al teatro europeo ma, come tutti i teatri, e soprattutto come tutto in Brasile, prende le proprie caratteristiche e peculiarità della terra Pindorama. Il Brasile, per la distanza geografica e per la grande mescolanza di culture presenti al suo interno, trae spesso ispirazione dall’esistente, riportandolo nel contesto brasiliano ma in modo quasi sempre più libero e popolare. Questo accade nell’arte, nella cucina e purtroppo anche nella politica e nella criminalità. Ciò però si vede in particolare nel teatro e nella musica, arti eclettiche e diversificate. Viene quindi naturale fare un parallelo tra il Samba e il teatro.

La nascita del teatro (tradizionale) brasiliano non è un evento particolarmente sereno. Il Brasile è stato scoperto dai portoghesi e colonizzato nel XVI secolo (almeno questo è ciò che raccontano gli europei – per i popoli nativi di queste terre, non si tratta di una scoperta, bensì di un’invasione e un genocidio). Nelle caravelle colonizzatrici erano presenti anche cattolici gesuiti, giunti per catechizzare i popoli nativi infedeli e portare anche in questi territori la storia di Gesù. Una storia accaduta più di millecinquecento anni prima, a ventimila chilometri di distanza e in un lontano “medio oriente”, un contesto totalmente diverso dal tropicale mondo delle giungle tupiniquim. Ciò fu causa della distruzione di una religione, una cultura e una lingua caratteristiche di quel tempo e quel luogo. Tra questi Gesuiti, il più famoso fu Padre Anchieta. Amante dell’arte europea, egli usava il teatro per raccontare la vita di Gesù, un teatro oppressore. Si metteva in scena il presepio, la nascita di Gesù, i suoi miracoli, la sua morte. Peccato (letteralmente)! Magari Padre Anchieta avesse imparato l’arte indigena! Egli almeno aveva però imparato la lingua del posto, la lingua Tupi, che venne poi proibita dagli stessi gesuiti portoghesi nei secoli successivi. “Magari gli indigeni avessero spogliato i portoghesi, invece furono questi ultimi a coprire gli indigeni.” (Erro de português, Oswald de Andrade, 1927). Niente è più opprimente di una colonizzazione, della distruzione di una cultura e di un popolo che già aveva propri dei da adorare, proprie tradizioni e rituali, un proprio teatro. Per questo all’inizio del paragrafo parliamo di “teatro tradizionale brasiliano”: il teatro, secondo questa visione, non è stato creato ma appartiene all’essere umano da quando egli esiste. L’essere umano è teatro da quando vive in società. Il teatro è la collettività dell’individuo, è intrinseco della specie umana. Questo pensiero è però in disaccordo con la credenza che il teatro sia nato nella Grecia Antica. 

Questa forma colonizzatrice, oppressiva di una cultura, è prioritaria nell’arte brasiliana fino al diffondersi di due movimenti artistici “antropofágici”: La “Semana di Arte Moderna del 1922” e la controcultura antidittatura del “Tropicalismo” degli anni Sessanta. 

All’inizio del XX secolo, alcuni artisti brasiliani si ribellarono all’imposizione di dover seguire i movimenti artistici europei e iniziarono a cercare ispirazione nelle tradizioni locali. L’apice di questa rivoluzione accadde tra il 13 e il 17 febbraio 1922 nel Teatro Municipal de São Paulo durante la Semana di Arte Moderna de 22. Un evento che cambiò definitivamente la cultura e la società brasiliana.


Ispirandosi alle avanguardie europee (futurismo, cubismo, dadaismo, surrealismo, espressionismo) e iniziando ad apprezzare l’identità e la cultura brasiliana, diversi artisti cambiarono il loro modo di vedere il mondo. “Tupi or not Tupi, that the question!” I pittori brasiliani Di Cavalcanti, Anita Malfatti e Tarsila do Amaral iniziarono ad inserire nei propri quadri visi e colori del Brasile. Victor Brecheret riproduce l’uomo brasiliano nelle sue sculture. L’attore Ronald de Carvalho legge il poema Os Sapos (le rane) di Manuel Bandeira. Il pubblico tradizionale paulistano fischia e non apprezza questa lettura. Nell’ultimo giorno, con un pubblico ridotto, il compositore carioca Heitor Villa-Lobos suona al pianoforte in frac e pantofole. Un oltraggio suonare in queste condizioni! In realtà egli usò le pantofole a causa di un’unghia incarnita. Heitor Villa-Lobos fu comunque un grande esempio di questa nuova arte, un’arte che ricercava i valori della terra nel quale era nata. Le sue musiche riproducevano infatti i suoni del Brasile. Leggenda narra di un suo viaggio in Amazzonia alla ricerca di un uccello il cui canto produceva, a suo dire, la melodia più bella al mondo: o canto do Uirapuru.

L’arte più coinvolta in questa rivoluzione fu però la letteratura. Scrittori come Guilherme de Almeida e Mario de Andrade saranno eternamente influenzati da queste nuove idee. Il nome più polemico del movimento fu certamente Oswald di Andrade, scrittore, tra le altre cose, anche di spettacoli di teatro popolare. Tra queste drammaturgie abbiamo O Rei da Vela, uno spettacolo che mette in scena la falsità della società borghese di San Paolo dopo la crisi del 1929. Scritto nel 1933, lo spettacolo andò in scena solo nel settembre 1967, diretto da José Celso Martinez Correa nel Teatro Oficina. Secondo José Celso, il Rei da Vela ha ri-rivoluzionato il teatro brasiliano.


Nel 1961, Janio Quadros viene eletto presidente del Brasile ma, dopo solo 207 giorni di governo, si dimise in un tentativo goffo di golpe per poi fuggire, lasciando l’incarico all’unico presidente comunista che il Brasile abbia avuto: Joao Goulart, detto Jango. Un presidente comunista amico del cinese Mao Tse Tung e vicino all’Unione Sovietica, cosa non apprezzata dagli Stati Uniti i quali appoggiarono il golpe militare del 1964. Il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco divenne presidente del Brasile e Jango venne esiliato in Uruguay (secondo alcune versioni, Jango verrà poi avvelenato della Cia e morirà in Argentina nel 1976).

È in questo scenario di trasformazione radicale della cultura e della politica del Brasile che sorge uno dei maggiori movimenti di controcultura e rivoluzione dell’arte brasiliana. Questa volta la musica ne è protagonista, passando dalla leggera e soave bossa-nova alla forte MPB – Musica Popular Brasileira. Chico Buarque, Edu Lobo, Caetano Veloso, Elis Regina, Gilberto Gil, Os Mutantes, Nara Leão, Milton Nascimento, Jair Rodrigues e Geraldo Vandrè sono alcuni dei nomi visti sul palco del Teatro Record durante il Festival da Canção, un Sanremo brasiliano con una maggiore partecipazione del pubblico (“Viva a Vaia”). Le canzoni diventano il principale modo di difendere e diffondere la cultura della libertà, in opposizione alla dittatura militare. Anche cinema e teatro partecipano a questo movimento: il primo con il Cinema Novo di Glauber Rocha mentre nel teatro abbiamo due nuove e interessanti realtà: Il Teatro Oficina e il Teatro de Arena.


Il Teatro Oficina fu condotto dall’esotico, erotico e libertario José Celso Martinez Correa. Dopo il golpe militare del 1964 gli spettacoli iniziarono ad essere censurati a causa dei loro contenuti politici mentre il 31 maggio 1966 il teatro fu distrutto da un incendio (casuale o doloso?). Il giorno dopo, circa ottanta artisti si recarono davanti al teatro danneggiato pronti ad offrire uno spettacolo per raccogliere donazioni da destinare alla ricostruzione dello spazio. Tra loro anche Ari Toledo e Jô Soares, molto famosi al tempo. La rinascita del Teatro Oficina avvenne con lo spettacolo O Rei da Vela di Oswald di Andrade con Zé Celso alla regia, mentre nel 1968 il Teatro Oficina sfidò la dittatura militare con lo spettacolo Roda Viva di Chico Buarque de Hollanda.

Il Teatro de Arena nasce invece nel 1953 dal grande attore e direttore José Renato grazie a spettacoli di commedia accessibili al popolo semplice e cresce economicamente e di pubblico nel 1958 con lo spettacolo Eles não usam Black-Tie del teatrante Gianfrancesco Guarnieri, originario di Milano ma spostatosi in Brasile nel 1936, a soli due anni. Negli anni oscuri tra il 1965 e il 1968 Gianfrancesco Guarnieri e Augusto Boal, portarono in scena due spettacoli che affrontavano la dittatura militare: Arena Canta Zumbi e Arena Canta TiradentesArena Canta Zumbi, con la musica di Edu Lobo, debutta nel 1965 raccontando di un personaggio scomodo della storia brasiliana, tra l’eroe e il villano, ovvero Zumbi, uno schiavo fuggitivo che fondò e guidò un quilombo (un villaggio nel mezzo della giungla dove gli schiavi neri fuggiti alla ricerca di libertà vivevano nascosti). Di seguito è riportato il testo scritto da Augusto Boal, Gianfrancesco Guarnieri e dal direttore musicale Carlos Castilho, presente nel retro di copertina del vinile con il contenuto dello spettacolo: “In questo momento, in Brasile, è in atto una vera rivoluzione estetica, la prima autenticamente brasiliana. Altri movimenti importanti sono avvenuti sicuramente in precedenza, ma riflettendo, e spesso tardivamente, identici fenomeni avvenuti all’estero. L’arte brasiliana più avanzata oggi non segue le mode, gli stili o i modi di fare, che fioriscono nelle metropoli. È un’arte che nasce dall’uomo che cerca, lottando e perdendo e ancora lottando, per conquistare la sua posizione di suddito, un’arte in cui le barriere tra stili e generi vengono distrutte, così come vengono distrutte le barriere tra un’arte e l’altra.”


Il Teatro de Arena andò bene fino all’inizio degli anni 70. Nel 1971 Boal fu arrestato e torturato e, esiliato in Argentina (terra originaria della moglie), scrisse il Teatro do Oprimido e outras Poeticas Politicas, in Italia chiamato Il teatro degli oppressi. Quello che fu il suo libro teorico più conosciuto, conteneva una serie di testi scritti tra 1962 e 1973, con esperimenti fatti in Argentina, Chile, Venezuela e Perù. In gran parte, il volume è ispirato a La pedagogia degli oppressi, un libro scritto dal pedagogista e amico di Boal, Paulo Freire, il quale non necessita di presentazioni. 

Il libro di Boal è diviso in quattro parti. Nella prima parte, intitolata “Il tragico sistema coercitivo di Aristotele”, Boal racconta di come in origine vi era il “Canto Ditirambico” in cui tutti, essendo uguali, partecipavano ballando insieme e liberi all’aperto, qui il popolo era sia il creatore che il destinatario dello spettacolo. Come specchio dell’ideologia dominante, avvenne poi una prima divisione tra attori sul palco e spettatori passivi in platea e poi una seconda divisione tra i protagonisti (aristocratici) e il coro (il popolo). “Il tragico sistema coercitivo di Aristotele” spiega come funziona questa modalità di teatro e come avviene questa trasformazione. “Maquiavel e a Poética da Virtu” è il secondo capitolo. Nelle opere di Machiavelli, i protagonisti non sono più oggetti di valori morali ma diventano soggetti multidimensionali, individui eroici e distanti dal popolo quanto lo sono i nuovi aristocratici. Nel terzo capitolo “Hegel e Brecht: Personagem-sujeito ou personagem-objeto?” vi è una valorizzazione del pensiero dell’individuo sociale come incipit dell’argomentazione. 

Il teatro è sempre usato dalle classi dominanti per opprimere il popolo. Finalmente nell’ultima parte, Boal scrive riguardo a esperienze pratiche e laboratori fatti nel Teatro Popolare del Perù, qui egli dimostra la sua avversione nei confronti della parola “spettatore”, in quanto passivo e nascosto. Boal vuole portare queste persone all’interno dello spettacolo, trasforma lo spettatore in spett-attore, distrugge il confine tra protagonista e coro e sperimenta il sistema coringa (jolly), dove tutti possono essere e provare ogni ruolo nella drammaturgia. 

Nel libro Augusto Boal non parla molto delle tecniche di teatro quali il Teatro forum e il Teatro invisibile, che verranno invece descritte nei suoi libri successivi, ma si concentra nell’esprimere le sue idee riguardo il Teatro dell’Oppresso. Tutti i teatri sono necessariamente politici, perché politiche sono tutte le attività dell’uomo, e il teatro è una di queste. Il teatro è un’arma molto efficace, per questo dobbiamo lottare per esso e per la conquista dei mezzi di produzione teatrale. Le classi dominanti cercano costantemente di appropriarsi del teatro e di utilizzarlo come strumento di dominio. Così facendo, modificano il concetto stesso di teatro. Ma il teatro può essere anche un’arma di liberazione. Per questo è anche necessario aprirsi a nuove forme teatrali e accettare queste trasformazioni.



Il teatro degli oppressi si basa sull’idea che siamo tutti teatro, anche se non facciamo ufficialmente teatro. Essere teatro è diverso dal fare teatro. Fare teatro significa esercitare una professione che lavora con il teatro (attore, costumista o scenografo) ma essere teatro, questo lo siamo tutti. Essere teatro è essere umani. L’essere umano porta dentro di sé l’attore e lo spettatore di sé stesso. Spettatore privilegiato perché è l’attore di sé stesso, ma è anche il drammaturgo che scrive il testo recitato, il regista, il costumista che sceglie i propri abiti. L’essere umano è in sé l’intero teatro.

Augusto Boal, andò in esilio per fuggire alla dittatura militare del Brasile dal 1971 al 1986. Prima in Sudamerica (Argentina, Chile, Perù), poi in Europa (Francia, Inghilterra e Portogallo) per tornare in Brasile solo dopo la fine della dittatura nel 1986. Nel 1976, esiliato in Portogallo, Augusto Boal riceve grazie a sua mamma appena arrivata dal Brasile, una lettera da Chico Buarque: conteneva una cassetta con la registrazione della canzone Meu caro Amigo. Il testo della canzone dava notizia di un Brasile dove, come si diceva: “la cosa qui sta nera”, gergo d’epoca “a barra mais pesada” (la situazione più pesante, più difficile), riferimento diretto alla dittatura militare. I militari controllavano le lettere e leggevano i messaggi in cerca di ciò che andava contro il “sistema”, così Chico Buarque ebbe l’idea di mandare informazioni nascoste nel testo di una canzone. Durante l’ascolto, insieme ad Augusto Boal vi erano due grandi suoi amici: il sociologo Darcy Ribeiro e il famoso pedagogista Paulo Freire. Alcune delle più grandi menti brasiliane sentirono la voce di Chico Buarque raccontando, o meglio, cantando notizie della loro patria. 

Meu caro amigo, me perdoe, por favor
Se eu não lhe faço uma visita
Mas como agora apareceu um portador
Mando notícias nessa fita
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
Muita mutreta pra levar a situação
Que a gente vai levando de teimoso e de pirraça
Que a gente vai tomando e também sem a cachaça
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu não pretendo provocar
Nem atiçar suas saudades
Mas acontece que não posso me furtar
A lhe contar as novidades
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
É pirueta pra cavar o ganha-pão
Que a gente vai cavando só de birra, só de sarro
Que a gente vai fumando e também sem um cigarro
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu quis até telefonar
Mas a tarifa não tem graça
Eu ando aflito pra fazer você ficar
A par de tudo que se passa
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
Muita careta pra engolir a transação
E a gente tá engolindo cada sapo no caminho
E a gente vai se amando que também sem um carinho
Ninguém segura esse rojão
Meu caro amigo, eu bem queria lhe escrever
Mas o correio andou arisco
Se me permitem, vou tentar lhe remeter
Notícias frescas nesse disco
Aqui na terra, tão jogando futebol
Tem muito samba, muito choro e rock’n’roll
Uns dias chove, noutros dias bate sol
Mas o que eu quero é lhe dizer que a coisa aqui tá preta
A Marieta manda um beijo para os seus
Um beijo na família, na Cecília e nas crianças
O Francis aproveita pra também mandar lembranças
A todo o pessoal, adeus



Tornato in Brasile, Boal si stabilì a Rio de Janeiro. Nella Città Meravigliosa, dal 1992 al 1996 partecipò al consiglio comunale di Rio de Janeiro dove perfezionò il “Teatro legislativo”, variante del suo impegno socio-teatrale con il pubblico, che mette in scena i problemi delle persone della città attraverso tecniche teatrali, per poi elaborarne proposte di legge. Tra fine anni 90 e i primi anni del XXI secolo, le idee e la tecnica teatrale di Augusto Boal si diffondono in tutto il mondo. Nel 2009 fu candidato al Premio Nobel per la pace e, nello stesso anno, l’UNESCO gli conferì il titolo di World Theatre Ambassador. Boal morì di leucemia a Rio de Janeiro il 2 maggio 2009, a 76 anni.

Uno dei modi che Augusto Boal utilizza per rappresentare il suo teatro è l’Albero del Teatro dell’Oppresso. Ne esistono diverse versioni in diverse lingue. L’artista Stefania D’Amato ha realizzato una sua interpretazione, in italiano, dell’Albero dell’Oppresso per La Libera Università degli Studi del Samba di Brescia.

Etica e Solidarietà sono le basi che sostengono l’albero. Parole, Suoni e Immagini, attraverso i Giochi, si diramano nelle diverse modalità e tecniche del Teatro dell’Oppresso. Presentiamo alcune di queste ramificazioni: 

Il Teatro giornale è uno spettacolo che insegna a fare spettacolo: esso trasforma il giornale del giorno in uno spettacolo teatrale in cui però non vi sono solo attori ma gli stessi spettatori ne diventano i protagonisti. Nel Teatro immagine viene invece utilizzato il corpo per rappresentare concetti, ogni individuo fa parte di un’immagine collettiva. Il Teatro legislativo è un teatro istituzionale, una ferramenta con cui creare leggi e politiche pubbliche per il bene sociale.

 

La modalità del Teatro dell’Oppresso più conosciuta è però il Teatro forum. Una drammaturgia simultanea dove gli spett-attori interferiscono nella costruzione della storia. Inizialmente il confronto accadeva dopo lo spettacolo, a partire dalla richiesta da parte del pubblico: “Vogliamo forum!”. per discutere insieme sui temi della rappresentazione. L’idea di Boal fu quella di inserire questa pratica all’interno dello spettacolo. Dopo aver messo in scena la storia fino ad un determinato momento critico, il regista ferma l’azione e chiede al pubblico che direzione la storia dovrebbe prendere. L’apice del Teatro forum si raggiunge quando il pubblico prende il posto dell’attore ed inizia a creare autonomamente lo spettacolo. Ciò è ad esempio accaduto in una leggendaria scena del 1974 in cui una grande e forte signora nera sostituì l’attrice per vendicarla di un tradimento subito da parte del personaggio protagonista. Boal racconta di questo evento in un’intervista: “Lei entrò in scena ed era allo stesso tempo personaggio e persona. 100% lei stessa e 100% personaggio. Quella donna interpretava quella donna. È una cosa bellissima quando lo spettatore, non concordando con ciò che accade in scena, interviene per cambiare l’azione”.

Il Teatro invisibile potrebbe invece essere la tecnica più interessante per chi legge questo testo, (o questa tesi della Libera Università degli Studi del Samba di Brescia). Il Teatro invisibile letteralmente non si vede, le persone non si accorgono che ciò che sta accadendo è in realtà teatro. Si potrebbe chiamare anche flash mob, con la differenza che in quest’ultimo, ad un certo punto, ci si accorge della presenza di uno spettacolo e si inizia a filmare per postare sui social. Il Teatro invisibile è tale quando nessuno se ne accorge. Lo incontri inconsapevolmente e può cambiare la tua vita, la tua visione del mondo o l’intera società. E adesso, infine e in fine, possiamo rivelare il nostro segreto: la Libera Università degli Studi del Samba di Brescia è una forma di Teatro invisibile. Ogni articolo scritto, ogni lezione di Samba, ogni laurea consegnata è parte dello spettacolo in cui il magnifico rettore, i professori, gli studenti e i laureati sono i personaggi. Uno spettacolo virtuoso nell’arte dell’imparare, insegnare, divulgare cultura, del mettere insieme le persone per fare arte e fare teatro. Questo testo, questa tesi, questa drammaturgia, oltre ad essere Teatro invisibile, è soprattutto “Letteratura invisibile”.


Testo di Elisa Bonzi e Marcelo Sola

lunedì 3 giugno 2024

Roda Viva

 Roda Viva



Negli anni successivi al golpe militare che nel 1964 causò l’inizio di una dittatura militare, vi fu una grande instabilità all’interno della politica brasiliana. L’entrata in vigore dell’Atto Istituzionale numero cinque (AI5), nel 1968, fu un momento decisivo per la storia politica del paese. L’AI5 fu infatti un decreto emesso dal regime militare brasiliano con l’obiettivo di consegnare alla polizia un potere maggiore e legittimare l’arresto e la tortura di civili per combattere quello che era considerato il più grande nemico: il comunismo.

È in questo contesto che va in scena lo spettacolo Roda Viva scritto da Chico Buarque de Hollanda e diretto da José Celso Martinez Correa, prima a Rio de Janeiro e poi, con esito non molto felice, a San Paolo e Porto Alegre.

La trama dello spettacolo racconta il tentativo di un famoso cantante di cambiare il proprio nome per soddisfare il gusto popolare. Benedito Silva vorrebbe infatti diventare il cantante di musica pop Ben Silver e, dopo il successo, Benedito Lampião, un cantante di Baião. Chi diventa un’icona della cultura non sarà però Benedito ma sua moglie Juliana, detta Juju.

Lo spettacolo critica il dietro le quinte dei media e della TV appena nati nel Brasile degli anni 60. Nonostante non sia uno spettacolo pensato per essere politico, le metafore di Chico Buarque sulla manipolazione dell’industria discografica e della stampa sugli artisti possono ricordare la manipolazione dello stato dittatore nei confronti del popolo. Le allegorie sono sempre presenti nelle opere di Chico Buarque e il regista era il geniale José Celso!

Lo spettacolo fu scritto da Chico Buarque a fine 1967 e la prima andò in scena nell’estate dell’anno successivo nel Teatro dell’Università Cattolica (TUCA) di Rio de Janeiro. Gli attori furono Heleno Prestes, Antônio Pedro e Marieta Severo, con la quale Chico Buarque era sposato e dal quale ebbe tre figli. Quando lo spettacolo replicò a San Paolo, il personaggio di Juju, interpretato prima da Marieta Severo, passò a Marilia Pera. La donna, nella fatidica notte di luglio del 68, fu picchiata dal CCC (Comanda della Caccia ai Comunisti – organizzazione paramilitare di destra). João Marques Monterio Flaquer, avvocato e leader del CCC, insieme ad altri venti uomini armati, quella notte invase il Teatro Ruth Escobar, attaccando gli artisti e distruggendo le scenografie. Fatti simili accadranno anche verso la fine dello stesso anno a Porto Alegre, in quella che sarà l’ultima replica dello spettacolo per lungo tempo.


“L’AI5 è un Atto Istituzionale proclamato contro lo slancio culturale che ci fu in Brasile a fine anni 60. Nel nostro paese abbiamo avuto due golpe di stato, nel 64 e nel 68. Il primo raggiunse lo stato politico ed economico, mentre il secondo attaccò l’area culturale, come reazione al grande movimento di nuove idee che la classe artistica brasiliana stava producendo”, racconta José Celso Martinez Correa a Bruna Lombardi durante un’intervista. “Anch’io ho partecipato alla nascita di un evento innovativo, con un gruppo di giovani i quali hanno dato vita ad un rito tribale chiamato Roda Viva, una cosa estremamente forte e ancora poco conosciuta. Siamo stati presi d’assalto, come poche volte si era visto all’interno del contesto culturale internazionale: si trattava di un rito orgiastico a teatro. Avevo trent’anni quando ho visto ragazzi dieci anni più giovani invadere il palco e la platea di un teatro, trasformando lo spettacolo in un rituale dionisiaco ispirato al Teatro Greco. Nacque così la Roda Viva come orgasmo collettivo. Questi ragazzi hanno “mangiato” a me e a Chico Buarque, corpo e testa. Le prove erano pazzesche, una grande festa al quale presero parte in un paio di occasioni anche Mick Jagger e Miriam Makeba.”

Il Teatro di José Celso attacca la morale della società borghese. In questo contesto l’amore offende, il sesso offende, e per questo José Celso viene arrestato e torturato.

Nonostante l’esilio in Portogallo rese ancora più pesante il periodo della dittatura, egli riuscì a mantenere vivo il suo sogno di un Teatro Officina, teatro che rinascerà con molta forza negli anni successivi e diventerà un tempio sacro del teatro paulistano. Nel 1994 venne infatti inaugurato il progetto architettonico di Lina Bo Bardi, una struttura caratterizzata da un palco di un metro e mezzo di larghezza per cinquanta metri di lunghezza e da alcune gallerie metalliche laterali disposte su diversi piani, create per ospitare i 350 posti dedicati al pubblico. Lo spazio prenderà il nome di Teatro Oficina Uzyna Uzona e diventerà il punto di riferimento di questa innovativa tipologia di teatro per poi essere eletto dalla rivista inglese The Guardian nel 2015 il miglior teatro al mondo nella categoria del design architettonico.



Nel 2018, per festeggiare i sessant’anni del Teatro Oficina e i cinquant’anni della prima replica di Roda Viva, José Celso torna a rappresentarlo proprio in questo spazio. Sarà un successo gigantesco, si festeggerà non solo l’opera di Josè Celso Martinez Correa, diventato uno dei grandi nomi del teatro brasiliano, ma anche la sua intera vita. Tra gli attori, in questa replica si vedrà la presenza di Marcelo Drummond, marito di José Celso che, alla sua morte nel 2023, avrà il compito di portare avanti la sua eredità: la magia del Teatro Oficina.  

Anche la canzone Roda Viva, parallelamente allo spettacolo teatrale, oltre ad aver segnato il panorama musicale brasiliano, ha raggiunto diversi paesi di tutto il mondo. La rappresentazione più famosa è stata quella del 21 ottobre 1967, nella terza edizione del Festival da Record di San Paolo, un Sanremo brasiliano con una maggiore partecipazione da parte del pubblico attraverso la famosa “vaia” (chiasso, schiamazzo della platea). Viva a Vaia diceva il poeta Décio Pignatari. L’interpretazione vedrà Chico Buarque affiancato dal gruppo vocale MPB4 e si guadagnerà il terzo posto nella classifica finale del Festival. 

Ma come, una canzone come Roda Viva che arriva soltanto al terzo posto? Basta ascoltare le altre canzoni vincitrici per capirne la ragione. Il primo posto è stato infatti assegnato alla canzone Ponteio di Edu Lobo e Capinam mentre il secondo a Domingo No Parque di Gilberto Gil e Os Mutantes. Il quarto posto sarà invece di Caetano Veloso con Alegria, Alegria e il quinto di Roberto Carlos, il quale vincerà il Festival di Sanremo nell’anno successivo (1968). Ciò dimostra l’altissimo livello artistico dell’evento e, in generale, della musica brasiliana del tempo. Secondo José Celso, sarà proprio questa musica e questa arte a convincere lo Stato a creare l’AI5 con l’obiettivo di arginare la libertà che gli artisti nel Brasile degli anni 60 possedevano.


Nel 1970, mentre abitava in Italia, Chico Buarque registrò l’album “Per un Pugno di Samba”, con alcune delle sue canzoni più famose tradotte in italiano. Mentre l’arrangiamento delle musiche in Brasile era firmato dal geniale Rogério Duprat, in Italia vide la mano di un altro grandissimo compositore: Ennio Morricone. Roda Viva diventa quindi Rotativa e sarà la canzone d’apertura dell’album, nonché la più famosa del lato A. Il testo in italiano cambierà alcune metafore ma la semantica rimarrà la stessa: l’idea che, in un’ora, un minuto, un istante, la Rotativa arriva e distrugge il sogno, l’arte, la vita.

Ma cos’è la Roda Viva, la Rotativa? Il testo non risponderà mai a questa domanda ma, al contrario, cercherà di rendere la questione ancora più misteriosa e stimolare la curiosità dell’ascoltatore. Ognuno di noi, secondo il cantautore, deve trovare la propria Rotativa.

Nella struttura del testo ci sono quattro strofe. In ognuna delle prime tre, viene citato un argomento che nel finale la “Roda Viva” porta via. In portoghese questi argomenti sono: o samba, a viola e a roseira; in italiano: la rosa, la riva e la rabbia. Nella quarta strofa queste tre cose diventano solo ricordo, memoria, saudade. Ma alla fine la “Roda Viva” porta via anche la saudade.

In portoghese, “Roda Viva” letto al contrario è: “A viva dor” (che significa “Il dolore vivo”) mentre in italiano sarebbe “Avitator”, ma è ancora più forte un altro attrezzo: Il “Rullo Compressore”, oppure, come suggerisce l’attore e poeta Marco Cantori, “Rullo Con-Oppressore”.



Testo scritto da Elisa Bonzi e Marcelo Sola