Il Samba è nato in Sardegna
(Racconto di Marcelo Sola e Marco Meloni)
Era
l’autunno del 1915 quando Samuele Basciu decise di lasciare la sua amata
Cagliari per trasferirsi in America. Fece ciò consapevolmente, il suo cuore era
fuori controllo e la Sardegna era troppo piccola per ospitare lui e il suo
grande amore, Roberta Garau. Ancor peggio era pensare che anche lei forse lo
amava, ma era in procinto di sposarsi con Riccardo Murru, molto più ricco,
molto più famoso di lui e appartenente ad una delle famiglie più
tradizionalmente note dell'Isola. Le cose andavano così in quegli anni, i
matrimoni non avvenivano solo per amore, gli accordi matrimoniali tra le
famiglie rinomate erano un'usanza e non aveva senso che quella ragazza
bellissima e piena di grazia si sposasse con un pescatore musicista. I
pescatori sono sempre stati gente semplice in Sardegna e i musicisti sono
sempre stati scartati dall'esser scelti come mariti per le ragazze di famiglie in
vista, nella zona cagliaritana a quel tempo.
Samuele
ancora ricordava come l'aveva conosciuta. Era seduto nel tavolo esterno del bar
del suo amico Piero, con gli amici Marco e Marcello, quando l'aveva vista a
passeggio sul mare, col suo corpo dorato dal sole della spiaggia del Poetto.
Poeta diventò lui che appena la vide passare si ispirò e compose una canzone in
suo omaggio. Una canzone bella, diversa, ricca di armonia, ma soprattutto con
un ritmo nuovo, leggero e swingato, che secondo Samuele non era niente di
diverso rispetto al dondolarsi quando passeggiava.
Era
passato più di un mese quando Samuele ebbe la rara e inaspettata opportunità di
mostrare la propria musica a Roberta. Samuele era seduto sul gradino della
scaletta d'ingresso di un casotto nella spiaggia del Poetto, posto che in quel
tempo quasi nessuno frequentava nel tardo pomeriggio. Era un luogo in cui
veniva sempre con la chitarra, per suonare e comporre. Era il suo luogo di
meditazione e viaggio interiore.
In
quegli anni nella spiaggia del Poetto alcune famiglie avevano costruito i
cosiddetti “casotti”. Si trattava di piccole costruzioni in legno, colorate
nelle tonalità più varie, erano composti da due o tre stanze. Samuele talvolta
suonava la chitarra seduto sui gradini di legno di un casotto color turchese,
il suo preferito, quello che sentiva ispirasse la sua musica.
Osservando
la spiaggia gli parve di vedere un miraggio, un miracolo! Roberta camminava
verso di lui, solitaria, piano e con il suo passo caratteristico che muoveva
tutto il suo corpo da un lato all’altro. Un dondolare, quasi un ballo. Per
Samuele lei non camminava, fluttuava.
-
Posso sapere il tuo nome?
-
Sono Roberta, Roberta Garau
-
Ma sei figlia del Cavalier
Garau?
-
Si, sono io
-
Io mi chiamo Samuele Basciu
-
Lo so
-
Ma come lo sai, mi conosci?
-
Lo so, dico solo che lo so.
Samuele
era sorpreso, sembrava strano anche il fatto che la ragazza fosse lì, in quel
posto che egli pensava essere solo suo. Il suo luogo di fuga, di esilio.
-
Posso mostrarti una musica
che ho fatto per te?
-
Le mie orecchie sono tutte
tue, canta.
Roberta
sentì la musica in silenzio. Rimase zitta, non disse niente a Samuele. Aprì la
bocca solo per baciarlo. Appena finita la musica lo baciò. Si spogliarono dei
pochi abiti che portavano, a causa del caldo, e si amarono all'ombra del
casotto turchese come fosse per l'unica volta. Fu l'unica volta. Roberta andò
via senza dire una parola. Samuele rimase, perché non voleva che quel giorno
finisse mai.
La
mattina dopo Samuele, seduto al tavolo del bar di Piero, nello stesso tavolo,
con gli stessi Marco e Marcello, aveva un sorriso infinito che andava oltre il
viso. Marco domandò:
-
Ma cosa è accaduto? Non
sembri normale!
-
Niente, niente. Forse oggi
vedrete una grande sorpresa!
Poco
dopo venne con il suo passo inconfondibile Roberta, verso il mare, come tutte
le mattine. Questa volta però, in un modo sorprendente, Samuele si alzò e
camminò verso di lei. Deciso, fiero, come un atleta che cammina verso il podio
per prendere la sua medaglia olimpica, si avvicinò a lei.
Lei
non cambiò passo o direzione e fece finta di non conoscerlo. Samuele ancora
provò ad avvicinarsi e a seguirla per alcuni metri, raggiungendo il suo fianco.
A voce bassa che solo loro due potevano sentire disse:
-
Ma scusa, Roberta, cosa stai
facendo?
-
Scusi, non la conosco, mi
lasci andare
-
Roberta, ma ieri…
-
Non ricordo niente di ieri
-
Roberta, per favore, non
fare così
-
Samuele, vai via, non posso
conoscerti, non posso restare con te, sarebbe il mio suicidio, vai via!
Samuele
si fermò. Roberta proseguì, con lo stesso passo, nello stesso cammino.
Quando
Samuele tornò lentamente al tavolo, con una faccia totalmente diversa da quella
iniziale, Marcello domandò:
-
Ma cosa è accaduto?
-
Niente, niente, forse oggi
ho avuto io una grande sorpresa!
-
Non ho capito cosa hai
fatto, Samuele, ti alzi per parlare con quella ragazza che non conosci, che non
sa nemmeno il tuo nome
-
È meglio che non ti avvicini
a lei, è la fidanzata di Riccardo Murru, mia mamma ha raccontato che nella
città non si parla d'altro se non del loro matrimonio. È stato appena
annunciato, un paio di giorni fa, sarà nella prossima primavera.
Le informazioni fecero capire e,
allo stesso tempo, non capire quanto successo il giorno prima. Samuele non era
d'accordo e non sapeva cosa fare.
-
Samuele, sei pazzo, cosa hai
detto alla ragazza?
Samuele cambiò totalmente
l'espressione del viso e in un modo sarcastico e ironico rispose all’amico.
-
Semplice, sono andata a
salutarla, ho detto solamente che “quando lei passa tutto il mondo si riempie
di grazia e tutto è più bello grazie all'amore”. Solo questo. Ragazzi io vado
via. Sto lasciando la Sardegna, il più presto possibile.
-
Ma così, da un'ora
all’altra, senza pensare
-
Le migliori decisioni si
prendono senza pensare
-
Ma dove vai?
-
Non ho ancora deciso,
Genova, Roma oppure forse in America
-
Se io fossi in te andrei a
Genova, un pescatore riesce a vivere bene a Genova
-
Se io fossi in te andrei a
Roma, lì hanno bisogno di operai, camerieri e muratori
-
Non lo so, vediamo per dove
parte la prossima nave
-
Ho bisogno del vostro aiuto.
La mia barca è in vendita. Ho bisogno di soldi per andare via e voi che siete
miei amici potete comprare la mia barca
-
Dobbiamo comprarla! Ma
perché?
-
Perché siete miei amici.
Datemi quello che avete o potete. Non vorrei che la mia barca andasse ad altri.
La vendo a voi e parto.
Alcuni
mesi dopo Samuele era a Genova, nel porto. Portava con sé pochi bagagli e la
sua chitarra che suonava ogni tanto per sentirsi meno solo e per conquistare
qualche ragazza. Ma le ragazze di Genova non gli interessavano tanto, la delusione
era ancora molto recente e Samuele cercava una nuova realtà, un nuovo mondo.
Non gli piaceva l'atmosfera, il clima, la temperatura, Samuele voleva andare
più lontano.
Sapeva che Roberta non era ancora
sposata, ma non aveva più senso, a Cagliari non sarebbe tornato. La Sardegna
adesso faceva parte del suo passato. Roberta oramai era un insieme di bei
ricordi legati ad un unico giorno che Samuele sentiva con una malinconia che
gli faceva pulsare il cuore. Una sensazione diversa a cui lui non sapeva dare
un nome. Trent'anni dopo avrebbe scoperto che questo sentimento si chiama saudade.
Mentre
la sua testa andava verso il ricordo dei passi di Roberta sulla sabbia della
spiaggia del Poetto, Samuele si trovò di fronte ad una locandina, grande,
fissata sul muro dove si leggeva:
“In
America. Terre in Brasile per gli italiani. Nave in partenza tutte le settimane
dal porto di Genova. Venite a costruire i vostri sogni con la famiglia. Un
paese di opportunità. Clima tropicale, vitto in abbondanza, ricchezze minerali.
In Brasile potrete avere il vostro castello. Il governo dà terra e utensili a
tutti.”
Di ogni parola che leggeva Samuele
costruiva un'immagine e un sogno nella sua testa. Le prime tre parole della
locandina erano: America, Brasile e italiani. Parole vicine nel testo ma
lontane nella mente di Samuele. Soprattutto America e Brasile di cui non
conosceva la differenza. Sarebbe il Brasile parte dell'America o l'America
parte del Brasile? Sarebbe lo stesso posto oppure posti diversi e lontani? “Un
paese di opportunità. Clima tropicale e vitto in abbondanza…” Samuele aveva
sentito storie di foreste e isole tropicali in cui è sempre estate e gli alberi
sono pieni di frutti. Sarebbe questo il Brasile? Cominciò a sognare con “il
vostro castello” e forse anche grazie a “sogni con la famiglia”. Mai una
locandina suscitò tante immagini in una testa, al punto che, senza pensarci
molto, Samuele si imbarcò in quella nave con destinazione San Paolo.
A causa dell’ozio, la sua testa annoiata
faceva dei conteggi: se in quella nave c'erano circa mille italiani e la nave
partiva ogni settimana questo significava quattromila italiani al mese e quasi
cinquantamila all’anno. Da una parte l’Italia stava svuotandosi, dall’altra
sarebbe stato possibile trovare una nuova Italia in questa città brasiliana.
Inoltre San Paolo era il suo santo preferito e ciò gli dava sicurezza. Non
suonò mai durante il viaggio, i rumori del motore e delle macchine, molto
vicine alla loro camera, e le tante persone che parlavano contemporaneamente
non producevano l'ambiente adatto alla musica e alla poesia. Samuele parlava
poco e ascoltava molto, tante storie, molti sogni. Ognuno portava con sé una
speranza gigantesca in questa avventura, in questo nuovo mondo e allo stesso
tempo rimpiangeva le cose, le persone e la terra che aveva lasciato. Per
Samuele ogni storia poteva essere una canzone. Lui aveva sempre composto
musiche che parlavano della semplicità della gente. Non che la musica dovesse
essere semplice. No, poteva essere raffinata e toccante, ma il testo, che per
lui era tanto importante quanto la melodia, doveva parlare della gente
semplice, della vita quotidiana, doveva essere prossimo al cuore e all'anima di
ognuno. Non doveva essere la perfezione, sublime o elevato ma semplice e
leggero.
Quattro settimane dopo la partenza da
Genova la nave raggiunse il Brasile, la prima fermata fu Salvador de Bahia
che Samuele capì chiamarsi Bahia per la baia dove la nave getta le ancore. Si
chiama la Baia de Todos os Santos. L'entrata nella baia fu di mattina.
La nave rimase ancorata durante la notte e ripartì la mattina dopo. Nessun
immigrato di seconda e terza classe poteva scendere dalla nave. Solo qualcuno
della prima classe, qualcuno che sbarcava a Salvador e qualcuno dell’equipaggio
che doveva imbarcare e sbarcare merce.
Alla
fine del giorno Samuele saliva sul balcone di poppa che era pieno di curiosi
che volevano vedere la città. Non era piccola. C'erano palazzi di grande misura
tanto nella parte di sotto come nella parte di sopra della città. Salvador è
stata la prima capitale del Brasile. Era interessante perché c'erano due città:
una era la “città bassa” e l'altra la “città alta”. Samuele passava parecchio
tempo lì. Molti scendevano a dormire e lui continuava ad ammirare, nonostante
fosse lontana, quella cosa che chiamavano Brasile. Improvvisamente iniziò un
suono che catturò l'attenzione di Samuele. Era una musica ma non era solo una
musica. Non c'erano strumenti a corda o fiati, erano solo percussioni,
soprattutto tamburi dal timbro grave. Un ritmo costante che non si fermava.
Continuo. Forte. Forse un rituale, forse una preghiera, forse un mantra. A
volte sentiva un coro di voci all'unisono, con volume inferiore alle
percussioni. Quel suono durava per quasi un'ora e Samuele entrava dentro quella
musica come per non uscirne mai.
Passarono soltanto tre giorni di
viaggio, lungo la costa, potendo vedere da lontano le montagne verdi, poi la
nave arrivò alla seconda fermata: Rio de Janeiro. Era incredibile, era tutto
verde, ovunque alberi, tutto foresta e una sinfonia di canti di diversi
uccelli: Aprium, Arapaçu, Curió, Juriti, Macucu, Pixoxó, Sabiá, Tangaró e
Urutau. La nave entrò nella Bahia de Guanabara, la visuale era
unica, bellissima. Le montagne, le spiagge, il verde scuro del mare erano quasi
della stessa tonalità del verde del bosco. Forse quello era il posto più bello
del mondo, era l'immagine che Samuele aveva in mente per il paradiso. Più di
una volta la nave si fermò solo per una notte. Più di una volta gli immigrati
non poterono scendere, la dogana di controllo degli immigrati italiani era solo
nel porto di Santos, vicino a San Paolo. Nel mezzo della notte la musica veniva
dalle montagne e si sentivano le percussioni. Erano gli stessi strumenti, ma il
ritmo era un po’ cambiato. Era anche qui un tempo in due quarti, ma assai
curioso era che la tonica fosse nel secondo quarto, lo stesso gioco che Samuele
a volte faceva nelle sue canzoni a Cagliari, dove sembrava che nessuno lo
capisse! Allora pensò che il suo ritmo musicale, il suo ritmo di vita, avesse
molto a che fare con quello di Rio de Janeiro.
Dopo
due giorni di viaggio la nave era pronta ad entrare nel porto di Santos.
Finalmente il giorno più sognato, quello dello sbarco. Finalmente Samuele
avrebbe messo i piedi nel suolo brasiliano. Ma non fu così semplice. Dovettero
aspettare quasi un giorno per terminare lo sbarco della prima classe e delle
merci. Durante questo tempo gli italiani aspettavano in piedi con le valigie a
terra, ogni tipo di notizia arrivava a loro, ma niente di ufficiale. Girava
l'informazione che non stessero lasciando scendere i malati e gli anziani.
Qualcuno diceva che si dovesse avere l’attestato medico di sanità, altri
dicevano che quello servisse solo nel porto di New York e Buenos Aires. Il
signor Giuseppe Sola, che veniva da Mormanno, in Calabria, mostrava orgoglioso
il suo, ma c'era chi diceva che non avesse più valore perché era datato 1914 ed
era già il 1915, per questo motivo doveva essere scaduto.
Dopo l'entrata ufficiale, tutti si
spostarono su un treno che viaggiava per due ore da Santos a São
Paulo. La Estação da Luz (Stazione della Luce) era la destinazione
finale. Durante il viaggio Samuele fece amicizia con un signore alcuni anni più
grande di lui che viaggiava al suo fianco sul treno.
- Buongiorno, sono Francesco Matarazzo, da
Castellabate in provincia di Salerno, vengo a trovare i miei fratelli che sono
a Sorocaba, vicino a São Paolo.
Per quasi tutto il viaggio Francesco si fidò
di Samuele e raccontò la sua avventura fino a quel momento e i suoi sogni in
Brasile.
I
suoi fratelli lavoravano il caffè a Sorocaba, vicino a São Paulo.
Più una volta Samuele ascoltò molto e parlò poco, forse questa era la sua
miglior virtù.
-
Buongiorno, sono Samuele
Basciu da Cagliari
Arrivando
alla Estação da Luz, Francesco offrì a Samuele un caffè in un bar
davanti alla stazione. Disse che quello era il miglior caffè del mondo, veniva
da Sorocaba, era di produzione dei suoi fratelli. Il caffè era veramente
magico, nonostante fosse filtrato in un calzino! Curioso anche il barista del
caffè, un nero, Otello, che parlava benissimo l’italiano. Quell'incontro con
Otello fu un'occasione unica che avrebbe cambiato il suo destino.
- Io parlo bene l’italiano perché mio
padre è italiano, viene da Napoli e mia mamma è una nera figlia di africani che
sono stati portati qui come schiavi. Sono metà italiano, metà africano ma mi
sento brasiliano, sono nato qui. La domenica mattina vengo con mio padre alla
messa della Chiesa Cattolica, lo stesso giorno di sera vengo con mia mamma al Candomblé,
nel Terreiro de Umbanda.
-
E quale dei due riti preferisci?
- Quando abbiamo bisogno del miracolo, del
regalo divino, non fa differenza da dove viene l'energia, l’importante è la
fede. Ma nel Candomblé la musica mi smuove molto di più, passo tutta la
sera suonando l’atabaque.
Samuele chiese della musica e Otello
fece una batucada sul legno del bancone con l’aiuto di alcune parole
cantate. Subito Samuele che riconobbe il ritmo che aveva sentito nella nave a Rio
de Janeiro e a Salvador, chiese ad Otello cosa fosse.
- O Candomblé è un rito religioso
portato dagli africani ed è molto praticato qui in Brasile, a São
Paolo non è praticato perché qui ci sono gli italiani. Dicono che oggi a Rio
de Janeiro ci sono più Terreiro de Umbanda che chiese cattoliche
- Ragazzi, parto oggi per Rio de
Janeiro
Samuele spese gli ultimi risparmi in un
biglietto del treno dalla Estação da Luz (dove letteralmente
tutto è diventato più chiaro) alla Central do Brasil.
Appena arrivato alla stazione, Samuele
guardò in direzione di una piccola collina con un grande albero di mango
davanti. Da quella direzione arrivava un suono o, meglio, il suono. Quello che
lui aveva sentito dalla nave qualche giorno fa. Quel ritmo costante fatto dagli
atabaques, quel canto primitivo, quell'energia. Samuele si addentrò nel Terreiro
de Umbanda. Samuele si addentrò nel Terreiro de Umbanda (la
ripetizione della frase non è un errore grammaticale, ma bensì un accrescitivo,
una persistenza, è la frase più importante della storia).
Samuele era fermo, statico, attonito,
stupefatto nel mezzo del Terreiro, un grande circolo con una
partecipazione collettiva, tutti suonavano, cantavano, ballavano. Una
condivisione spirituale. Da un lato gli
uomini, a petto nudo, a piedi nudi, solo con un pantalone bianco leggero,
suonavano all'unisono dei tamburi lunghi e stretti chiamati atabaque. I
suoni acuti, ritmati e costanti, erano fatti da ganzá, caxixi, agogô e xequerê.
Le innumerevoli candele si muovevano insieme al ritmo della musica e una decina
di donne nere, con vestiti e sorrisi bianchissimi, giravano e ballavano attorno
a lui.
Una, la più bella, lo tirò per il
braccio, si sedette per terra e lo mise seduto davanti a lei. Gli diede un
sigaro di un'erba dolce molto apprezzata dai popoli nativi. La chiamavano con
alcuni nomi: riemba, pemba, jingongo, chiababa, jererê, monofa, charula o
pango. Dopo un bicchiere di un distillato di canna da zucchero forte, la cachaça,
disse:
- Parla, parla di tutto ciò che vuoi, la
tua pomba-gira ti aiuterà.
Samuele
parlò, parlò e parlò. Parlò come non aveva mai parlato. Parlò per quella figura
che sembrava non essere attenta, ma quando lui smetteva di parlare lei
prontamente suggeriva una domanda e lo faceva proseguire col suo racconto.
Mentre parlava, fumava e beveva, Samuele guardava il viso bellissimo di quella
donna piena di vita, di movimento. La notte diventò un viaggio, una regressione
spirituale sino al futuro, una sensazione primitiva e naturale. Sfuma la luce.
Buio.
La
mattina Samuele si svegliò con il sole forte in faccia che arrivava da una
finestra aperta. Si trovava in un letto singolo, sdraiato a fianco di una donna
nera. Non una donna, era “la donna”, la stessa con cui parlava la notte
precedente.
- Buongiorno italiano, vieni, scendiamo,
la mamma ha già preparato la colazione ed il caffè fatto da Tia Ciata è il
migliore di Rio de Janeiro. Andiamo.
Samuele prima controllò che la valigia e
la chitarra fossero nella cameretta, mise degli indumenti, poiché si era
svegliato nudo, e scese dal secondo piano al piano terra, seguendo la ragazza
che girò verso il fondo della casa, sino al cortile, al “quintal da Tia
Ciata” dove la colazione in abbondanza era su tavolo.
-
Come ti chiami, italiano?
- Samuele, Samuele Basciu, vengo da
Cagliari, Sardegna, Italia. Sono arrivato due giorni fa a Santos e ieri
sera sono giunto a Rio de Janeiro… Ma perché mi fai domande? Ieri ti ho
detto tutto ciò e ho raccontato la mia storia!
-
No, non hai parlato con me
- Si, mi ricordo, nel Terreiro, ho
parlato con te per ore…
- No, non hai parlato con me. Hai parlato
con il mio santo, con la mia pomba-gira
-
Cosa?
Tia Ciata spiegò con calma al novizio.
- Era il suo corpo ma non era lei. Baixou
o santo. Lei aveva appena prestato il corpo al santo che è venuto a parlare
con te. Tu hai parlato con un Orixá ospitata nel suo corpo. Per questo
Chica non ricorda niente di cui hai parlato
-
Io non so come tu possa
ricordare qualcosa, disse Chica a Samuele. Alla fine del culto quando sono
tornata a essere me stessa ti ho trovato caduto, ubriaco e stonato, assieme a
Pixinguinha che è rimasto addormentato nella camera all'ingresso e che forse
ancora dorme
-
Pixinguinha, chi è costui?
- Non lo conosci, era sdraiato insieme a
te per terra nel Terreiro, lui con il flauto, tu con la chitarra,
pensavo vi conosceste, voi musicisti siete sempre insieme.
Samuele cominciò a capire qualcosa, ad
entrare in quell'ambiente e in quel mondo nuovo. Prima imparò la cosa più
importante: Chica, lei si chiamava Chica. La figlia più giovane di Tia Ciata.
La bellezza più esotica che avesse mai visto nella vita. Il nero più brillante
che avesse mai conosciuto, il corpo più perfetto che avesse mai visto. Ed era
strano per lui capire di aver parlato all'Orixá e che si fosse
appassionato al corpo che conteneva il santo. Era l'unica cosa che
ricordava di aver detto a lei, la ragazza che non ricordava niente, ma che
donava il suo corpo alla pomba-gira che orientava Samuele ad avere
successo al suo arrivo a Rio de Janeiro. Che confusione!
Chica era veramente brava, era andata al
Terreiro a fare il suo lavoro e quando aveva finito si era presa quei
due stonati ubriachi, un nero e un bianco, un flautista e un chitarrista, e per
non lasciarli dormire all’aperto li aveva portati a casa sua per dormire in
pace. Uno, Samuele, lo aveva portato a dormire nel suo letto, senza nemmeno
sapere il suo nome. Che modo di avere fiducia in uno sconosciuto. E veramente
non si erano nemmeno toccati, avevano solo dormito. O meglio, si toccarono
schiena con schiena, perché il letto era veramente molto piccolo. Ma senza
malizia.
Al
lungo tavolo di legno dove erano seduti, si avvicinò il nero flautista che era
stato nella notte precedente protagonista dell'avventura.
-
Tia Ciata, il caffè?
- Pixinguinha, neguinho abusado, ti
faccio il caffè perché mi hai conquistata con i tuoi chorinhos, i soli di
flauto e soprattutto la tua simpatia. Pixinguinha, sei amato da tutti. Devo
rifare il caffè, l'italiano qui ha bevuto già tre bicchieri
-
Buongiorno, io sono Alfredo,
molto piacere
-
Ma Pixinguinha, nessuno ti
chiama Alfredo! – disse Tia Ciata
- I neri no, i neri mi chiamano
Pixinguinha, ma i bianchi mi chiamano Alfredo, Alfredo da Rocha Vianna Junior.
Figlio di Alfredo da Rocha Vianna, il Junior è perché ho lo stesso nome di mio
padre. La nonna africana mi chiamava da bambino “Pizindin”, bravo
ragazzo nella sua lingua africana. E tu come ti chiami?
-
Sono Samuele Basciu, vengo
da Cagliari, dalla Sardegna. Posso anche io chiamarti Pixinguinha? E' più
musicale, lo preferisco
-
Un bianco può chiamarmi
Pixinguinha solo se è un bianco con l'anima nera
-
E come sai se sono un bianco
d'anima nera?
-
Quando tu suonerai la
chitarra ti dirò se hai l'anima nera. Ma sei italiano?
-
No. In verità sono sardo, mi
sento più sardo che italiano
-
Samuel?
-
No, Samuele, con la “e”
finale
-
Scusa, è che la settimana
scorsa abbiamo conosciuto un altro Samuel, mi sembra fosse senza la “e”. Samuel
Cash, veniva dagli Stati Uniti d'America. E anche lui suonava la chitarra.
In un commento ironico Tia Ciata disse:
-
Basta che arrivi un bianco
giovane che Chica lo porta a casa per dormire con lei
-
No mamma, oggi ho solo fatto
la carità, non aveva dove dormire. Giuro che non ho mai toccato la sua mano
durante la notte
-
Vero Tia Ciata, non abbiamo
fatto niente – commentò Samuele come volendo giustificare di essere un uomo
rispettoso e corretto
-
Tu no, ma con l’altro Samuel
della settimana scorsa c'erano così tanti gemiti che nessuno è riuscito a
dormire qui a casa
-
Ma mamma – rispose Chica
ironicamente a Tia Ciata – tu che tutti dicono essere la donna più libera di
Rio de Janeiro stai facendo censura dei miei amori. Libertà ai neri, libertà
politica e anche libertà nell’amore mamma. Tutte le forme d'amore valgono.
La
testa di Samuele era bollente, caldissima per il sole intenso di Rio de Janeiro
ma anche per l’oceano di grandi novità di idee e pensieri sulla vita e sulla
libertà. Ancora più forte era il potere di cattura dello sguardo di Chica.
Parlava sempre con il sorriso che superava la dimensione del viso. Sarebbe lei
la fidanzata di questo altro Samuel? Ma lei ancora lo guarda con interesse? È
normale un dialogo così aperto sulla relazione amorosa, tra una mamma e una
figlia come queste due? La testa di Samuele era piena di dubbi. Piena di punti
di domanda. Ma Chica lo aveva incantato.
- Attenti tutti, João Batista sta
arrivando con il Presidente!
L’oceano di grandi novità di questo
giorno senza fine continuava a sorprendere. Il Brasile era una Repubblica dal
1889 e il suo presidente, dal 1914 al 1918 era Venceslau Bras. Era proprio lui
ad entrare in quella piccola ma grande casa. Piccola di misura, ma infinita nel
cortile e negli eventi aleatori di una coincidenza quasi impossibile. Tutto
nello stesso giorno. Il Presidente aveva una ferita nel piede che nessun medico
riusciva a guarire. João Batista, la sua guardia di fiducia, era marito di Tia
Ciata e aveva consigliato al Presidente di provare la terapia di Tia Ciata;
un'invocazione ai Orixás del Candomblé per aiutare nella cura.
Tia Ciata era una benzediera. Il metodo aveva funzionato. Era la seconda
ed ultima volta che il Presidente andava a curarsi con Tia Ciata ed uscì
camminando bene e felicemente. Prima che lui uscisse, Tia Ciata fece un'ultima
richiesta.
-
Presidente, vedi quel
ragazzo bianco seduto al tavolo a fianco di Pixinguinha? Lui si chiama Samuele
Basciu, è appena arrivato da Cagliari, è il nuovo fidanzato di mia figlia Chica
(tutti risero) potremmo fare oggi una festa di benvenuto al mio ospite italiano
qui nel mio cortile?
- Ma certo Tia Ciata, oggi la polizia non
vi darà fastidio, oggi voi avrete proprio la protezione della polizia. Se ci
sarà qualche problema io comunicherò per telefono. Hai capito Tia Ciata: “pelo
telefone”!
As Tias Baianas (le zie baiane) cominciarono a
preparare os quitutes (gli stuzzichini e i dolci) che facevano già tutti
i giorni per vendere nos tabuleiros da praca onze (nelle bancarelle
della Piazza Undici). No tabuleiro da baiana tem, vatapá, caruru,
mungunzá, tem umbu pra ioiô. Quel giorno ne fecero in più per la
festa nel cortile di Tia Ciata. João Batista fu dunque responsabile
dell'aumento dello stock di cachaça, questa volta con la protezione
della polizia.
La Praça Onze (Piazza Undici) era
chiamata anche Nova Africa per la grande incidenza di neri tra la popolazione.
Ma lì accadeva un fenomeno nuovo e interessante, i neri vivevano mescolati con
tutti i tipi di bianchi. C'erano portoghesi, italiani, inglesi, musulmani,
ebrei, statunitensi e alcuni nativi locali. Era come se la piazza fosse un
sunto del pianeta. E con la stessa proporzione, la casa di Tia Ciata, lì
vicino, era un sunto della piazza che era un sunto del pianeta.
La casa era a due piani. Nel piano di
sopra c'erano sei camere, ma solo la prima e l'ultima avevano finestre. La
camera di Chica, dove Samuele aveva dormito, era così. Nel primo piano, una
sala grande dove si suonava il Choro e, nella parte posteriore, la
cucina che finiva nel famoso cortile posteriore. Samuele era rimasto tutto il
pomeriggio con Pixinguinha, imparando il Choro, erano brani strumentali
che utilizzavano il clarinetto, il banjo, il mandolino o il flauto. Pixinguinha
era un mago con il flauto. Le sue melodie erano bellissime. Quel pomeriggio
Samuele conobbe anche il cavaquinho, suonato da un signore tanto grasso
che era impossibile credere che quelle dita grandi riuscissero a premere quelle
corde piccole del cavaquinho. Altro strumento che lo aveva stupito era
la cuíca, che per Samuele era come il canto di un'anatra malata.
Dopo il tramonto il movimento nella casa
di Tia Ciata aumentava, le persone andavano in direzione del cortile. Il
cortile di Tia Ciata. I visitatori sentivano un po’ di Choro
all'ingresso, poi passavano per la cucina dove rubavano qualcosa da mangiare e
prendevano un bicchiere di cachaça. Il giro finiva nel cortile, dove ci
si sedeva in una panchina, una sedia, un'amaca e anche a terra, in piccoli
cerchi dove girava una pipa da fumare con le erbe indigene: o cachimbo da
paz (la pipa della pace).
Samuele e Pixinguinha stavano ancora
suonando choro nella camera all'ingresso quando videro arrivare Fred
Figner, l’ebreo che era proprietario della Casa Edison, etichetta
discografica di Rio de Janeiro, e che da tempo voleva registrare la
musica che si faceva nel cortile di Tia Ciata. Con lui arrivò Samuel Cash, con
una chitarra in una custodia molto simile a quella di Samuele Basciu. Samuele
era geloso, non per la custodia, ma perché Samuel aveva dormito alcune notti
nello stesso letto in cui lui aveva dormito la notte precedente, con la stessa
donna, con una “performance” migliore.
La notte seguente tutti si trovarono nel
cortile, in un grande cerchio, ridendo, fumando la pipa e bevendo la cachaça
da boa. Gli strumenti del Candomblé erano già al loro posto. Atabaque,
ganzá, caxixi, agogô, berimbau e xequerê erano pronti per essere
suonati. Donga, sempre presente, prese due custodie di chitarra per metterle
accanto e con una penna scrisse SAM in quella di Samuel Cash per poterla
distinguere. Pixinguinha lo avvertì:
-
Attento Donga, l'altra
custodia è di Samuele Basciu, anche lui è SAM!
-
Adesso scrivo SAM anche in
quella di Samuele Basciu, disse Donga, entrambi sono SAM, nelle due custodie ho
scritto SAM.
Pixinguinha domandò a Donga:
-
Ma adesso come facciamo a
distinguerle?
-
Semplice, in quella di
Samuel Cash scrivo SAM CA, e in quella di Samuele Basciu scrivo SAM BA.
Pixinguinha voleva suonare e disse:
-
Scrivi quello che vuoi, io
vorrei fare musica, vorrei suonare. Ma oggi, Samuel Cash, lascia la tua
chitarra nella custodia perché abbiamo già sentito la tua musica. È bella, ma
sono solo tre accordi. Oggi vorrei sentire altra energia, oggi sentiremo
Samuele Basciu, oggi sentiamo la custodia SAM BA.
Tia Ciata gridò nel cortile:
-
Avanti Samuele, facciamo SAM
BA in questo cortile.
Samuele si ispirò agli atabaques
della notte prima, ricordava il movimento dei passi di Roberta nella spiaggia
del Poetto, confondendoli con il movimento del corpo di Chica, mescolandoli con
il Choro che aveva appena imparato con Pixinguinha iniziò una musica, un ritmo,
uma batida, uma cadência, che fu seguita da tutti. La sintonia era
completa. Un'euforia psicosociorgasmatica collettiva.
Donga
gridò durante il ritornello:
“Il capo della polizia al telefono ha
fatto sapere che in Piazza Carioca c'è una roulette per giocare”.
E
quando si pensava che una cosa perfetta non potesse ancora diventare meglio,
Chica venne al centro del cerchio, chiamò Samuele per danzare e gli diede un
bacio forte davanti a tutti, sussurrando nelle orecchie:
-
Oggi tu dormi con me nel
letto, ma se non mi tocchi, ti mando via. Oggi tu sei mio.
La
notte divenne un sogno nel giorno più emozionante della vita di Samuele. La
notte che lui non voleva finisse mai.
Il giorno dopo, Donga, un percussionista
nero, entrò nella sezione di copyright del sontuoso edificio della Biblioteca
Nacional, un posto di solito frequentato da musicisti eruditi bianchi, e
registrò il samba “Pelo Telefone” a nome suo e di Mauro de Almeida.
Tutti gli altri che avevano collaborato alla musica nella sera precedente
furono dimenticati, incluso Pixinguinha che aveva scritto lo spartito – era
l’unico nero che sapesse scrivere la musica a Rio de Janeiro nel primo
900 – e Samuele Basciu che aveva cominciato la musica.
Ma questo non gli importava, il mondo
non gli importava, Samuele era andato in spiaggia con Chica. Doveva onorare la
promessa fatta nel terreiro alla pomba-gira e saltare dieci onde,
offrire fiori e cachaça a Yemanjá, a rainha do mar. La spiaggia
scelta era Ipanema, una spiaggia dopo Copacabana. Piaceva a Chica perché poteva
bagnarsi nuda. Il sole era fortissimo, si amarono nel mare, nella sabbia e
negli scogli.
Era stata una settimana meravigliosa per
Samuele, dormiva con Chica, mangiava lo squisito cibo di Tia Ciata e suonava
tutto il giorno con Pixinguinha il Choro che aveva imparato da lui e la
musica che Pixinguinha chiamava samba e che aveva imparato da Samuele. Dopo
alcuni giorni il gruppo musicale di Pixinguinha fu invitato a suonare a São Paulo. Samuele andò con lui. Fecero diversi
concerti nei bar del centro di São Paulo. Samuele trovò il suo amico
Francesco Matarazzo che disse a Samuele di dover aprire un'impresa per vendere
caffè di San Paolo in Italia. Lo invitò a lavorare con lui ma Samuele rifiutò
raccontando a Francesco che voleva fare musica a Rio de Janeiro, che aveva
trovato i musicisti giusti che capivano la sua musica, ma principalmente
raccontò di aver trovato l’amore della sua vita. Raccontava meraviglie di Chica
con un sorriso che nessuno aveva mai visto tanto grande.
Samuele salutò Francesco e fece un altro
viaggio in treno dalla Estação da Luz alla Central do Brasil,
ritornando felice a Rio de Janeiro. Durante il viaggio, nel Jornal do
Brasil, Samuele lesse un racconto di Machado de Assis: A Cartomante.
Per la sorpresa di Francesco Matarazzo, una settimana dopo Samuele era
nuovamente a São Paulo, con una faccia triste e opposta a quella della
settimana scorsa.
-
Francesco, amico mio, è
ancora valida quella proposta di lavorare con te nelle tue imprese? Sono pronto
a vendere caffè.
Samuele
era tornato un altro uomo. Senza più quella sua felicità e soprattutto senza la
chitarra che aveva lasciato indietro a Rio de Janeiro. Fu lui stesso a spiegare
a Francesco cosa era accaduto.
- Non riesco a capire quella donna, prima
mi ha portato in paradiso e dopo sono sceso all’inferno. Io ero tanto contento
con lei, ti avevo raccontato, però appena sono tornato da quei giorni a São
Paulo, arrivato a casa di Tia Ciata, ho trovato Chica con un altro uomo nel
letto, un nero forte, quasi due volte la mia taglia.
-
Ma lei non ti ha mai detto
niente?
-
Esattamente, lei non mi ha
detto niente. Non mi ha detto che voleva stare sempre con me, non ha detto che
voleva sposarmi, non ha detto niente. Solo stava con me, e dopo era con un
altro. Senza dire niente. Ho parlato con Tia Ciata e lei mi ha spiegato che lei
è così, non vuole stare definitivamente con nessun uomo. Non vuol essere
proprietà di nessuno. Lei viene da una famiglia di ex schiavi, la libertà è il
suo maggiore valore. Non vuole nessun padrone, nemmeno un marito, che per lei
sarebbe la stessa cosa. Lei è così, vuol essere libera per uscire con chi vuole
e quando vuole. Non si lega a nessuno. È un modo di essere, è la sua libertà.
-
Mio amico Samuele, tu sei un
italiano, noi italiani non siamo preparati a questo tipo di libertà. Il nostro
pensiero sulle donne è molto tradizionale. In qualche modo devi dimenticarla e
il lavoro è il miglior metodo. Andiamo a vendere caffè.
Rimasero più di trent'anni insieme,
lavorando insieme. Samuele era l’uomo di fiducia di Francesco Matarazzo che
diventò uno degli impresari più ricchi di São Paulo. I soldi non furono
più un problema per Samuele. Neanche le donne. Samuele non rimase coinvolto
fortemente con nessun'altra. Dopo i due amori: Roberta a Cagliari e Chica a Rio
de Janeiro, due donne così opposte nello stile di vita, una la più tradizionale
del mondo e l'altra la più libera. Le due donne che avevano fatto passare
Samuele da un sogno a un incubo in poche ore. Le due donne che avevano fatto
dimenticare a Samuele cosa fosse l’amore. Le due che lo avevano fatto diventare
un uomo di negozio e commercio, senza più arte, poesia e musica. Erano
trascorsi più di trent'anni e la chitarra di Samuele non aveva mai suonato. La
sua chitarra rimase a Rio de Janeiro, nella casa di Tia Ciata, dall’ultimo
giorno in cui vide Chica. Samuele era ormai un uomo freddo nel caldo Brasile
tropicale.
Gli anni 40 furono difficili,
soprattutto a causa della guerra. Non ci fu guerra in Brasile, nessuno sparo,
nessuna bomba, ma ufficialmente il presidente Getulio Vargas decretò la guerra
contro l'Italia di Mussolini. Il Brasile mandò soldati a combattere in Italia.
Il Brasile vinse la guerra, l’Italia la perse, per questo motivo ci fu una
persecuzione di italiani, tedeschi e giapponesi in Brasile. A São Paulo,
tutti gli italiani dovevano nascondere di esserlo. Molti nascosero e
sotterrarono i documenti che avevano portato dall'Italia e fecero nuovi
documenti brasiliani. Anche Samuele fece ciò e i suoi documenti originali non
furono mai trovati. La squadra di calcio degli
italiani che Samuele tifava dovette cambiare nome: Il “Palestra Italia” diventò “Palmeiras”,
un nome molto brasiliano. Fu un periodo di instabilità.
(San Paolo – 1950)
Ma gli anni 50 furono anni di sviluppo
economico, nel senso che i ricchi diventavano più ricchi e i poveri restavano
poveri. Ma il prodotto interno lordo del paese cresceva e São Paulo
produceva quasi metà di tutta la ricchezza del Brasile. Samuele economicamente
era molto stabile e aveva comprato una casa nella collina del Pacaembu,
vicino alla casa del poeta Guilherme de Almeida. Da lì era facile giungere ai
nuovi uffici delle imprese Matarazzo nella nuova Avenida Paulista. Un
giorno – e la vita di Samuele era sempre stata definita e cambiata in un solo
giorno – dopo una riunione di lavoro, Francesco Matarazzo invitò Samuele a
passare a casa sua per conoscere un nuovo amico.
Samuele, questo è il mio amico João
Rubinato, è una persona molto divertente, lavora alla radio. È lui che fa quel
personaggio Charutinho alla radio, il popolo di São Paulo ama Charutinho.
Lo hai già sentito?
-
No, Francesco, non l'ho
sentito, non sento la radio dal tempo della guerra, la radio porta solo notizie
tristi
- Discordo Samuele, discordo. La radio
porta anche divertimento e la musica è la nova onda. Tutti la sentono. Charutinho
farà pubblicità per noi e João Rubinato farà anche un samba per la nostra
impresa, lui si definisce “sambista”.
Samuele guardò João Rubinato e memorizzò
immediatamente il personaggio di Charutinho (letteralmente piccolo
sigaro). Il suo aspetto unico e divertente ricordava un piccolo sigaro. La
simpatia istantanea di Charutinho lo aveva conquistato.
-
Samonele
(João Rubinato chiamava sempre le persone con un soprannome, un suo modo di scherzare), tu
conosci il samba?
- No Charutinho, non lo conosco.
Cos’è il samba?
Era
da tanto tempo che Samuele non era così ironico, ma era la risposta più
semplice e intelligente in quel momento.
- Loro dicono che è un ritmo inventato a Rio
de Janeiro, oppure a Bahia, non lo so. Ma il samba bello è quello
fatto qui a São Paulo, na Casa Verde, no Brás, no Bexiga, na Barra
Funda, na Mooca… qui il samba è molto più intelligente, più malizioso. Tu
devi conoscere le canzoni di Paulo Vanzolini, sono fantastiche.
Come
sempre Samuele parlava poco e lasciava parlare il nuovo amico, si divertiva con
le sue storie. João Rubinato continuò:
-
Ma sei italiano, da dove
vieni?
-
Da Cagliari, Sardegna
- Dev'essere l’ultimo posto in cui il
samba è passato, forse arriverà tra cento anni. Per voi italiani conoscere il
samba sarebbe meglio ed io, che sono figlio di napoletani, ho fatto il “Samba
Italiano”. Ti faccio sentire:
Gioconda, piccina mia
Va a brincare nel mare nel fondo
Ma atencione col tubarone, ouvisto
Hai capito meu san benedito?
Piove, piove
A tempo che piove qua, Gigi
E io, sempre io
Sotto la tua finestra
E voi senza me sentire
Ridere, ridere, ridere
Di questo infelice qui
Ti ricordi, Gioconda
Di quella sera in Guarujá
Quando il mare te portava via
E me chiamaste: "Aiuto, Marcello"
La tua Gioconda ha paura di quest'onda
Samuele e Francesco ridevano molto con
quel personaggio che aveva condotto Samuele come in un viaggio sino a quel samba
che accennava Joao Rubinato. Una musica teoricamente nuova per Samuele.
Francesco aveva aperto uno dei migliori vini della sua collezione ed era da
tanto che Samuele non beveva e si divertiva così. Arrivato il momento per
Samuele di andare via, si diresse da João Rubinato e disse:
- Non posso restare ancora un minuto
accanto a te, mi dispiace Charutinho, ma non è possibile. Abito a Jaçanã.
Se perdo questo treno che parte adesso alle undici, devo aspettare fino a
domani mattina
- Non ho capito niente, Samonele
-
C’è un altro motivo: se
stasera non sarò tornato a casa, mia madre non si addormenterà. Son figlio
unico la mia casa è vuota senza me!
Samuele
uscì quasi con un sorriso nel viso, salutò Francesco Matarazzo e João Rubinato
e partì. João domandò a Francesco:
-
Ma lui abita con la mamma?
-
No e neppure abita a Jaçanã,
a volte lui non dice cose sensate…
-
Non l'ho capito.
La seconda sorpresa del giorno ci fu
all’arrivo di Samuele a casa sua, nel Pacaembu e non nel Jaçanã.
Il suo segretario lo informò appena arrivato:
-
Ci sono due persone qui in
attesa: un signore nero e un ragazzo bianco. Il signore nero so chi è, tutti lo
conoscono, è Pixinguinha, il musicista. Il ragazzo che è con lui non l'ho mai
visto.
La
sorpresa fu grande per Samuele, quando vide il suo vecchio amico Pixinguinha
seduto nel divano della sua casa mentre suonava il flauto insieme a un giovane
ragazzo. Il tempo era passato per i due, l'aspetto di Pixinguinha era cambiato
molto, ma il timbro, la sensibilità e la melodia del flauto erano inconfondibili.
-
Amico Samuele, vedo che il
tempo ha castigato più me che te. Sei ancora col viso giovanile, con un
bell'aspetto. Sono contento di vederti così
-
Anche per me è una bella
sorpresa, dammi un abbraccio maestro
- Non chiamarmi maestro, io che ho
imparato il samba con te
- Ed io ho imparato il Choro con
te. E ho imparato cos’è la simpatia, la gentilezza, la delicatezza e
soprattutto cosa significa essere carinhoso. Hai meritato il tuo
successo, qui a São Paulo si parla molto di te e si sente molto la tua
musica
- Samuele, se avessi voluto trovarmi
sarebbe stato facile. Non hai voluto? Dico ciò perché non è mai stato il
contrario. Ho domandato di te e ti ho cercato, non è stato facile trovarti. Ma
lasciami presentare questo ragazzo che si chiama Antonio Carlos Brasileiro de
Almeida Jobim, ma io lo chiamo solo Tom. È venuto da me perché voleva imparare
il Choro e il Samba. Penso che il Choro io lo possa
insegnare, ma il Samba io preferisco che lo impari con te!
-
Non suono da più di
trent'anni, lascia stare
- Esercito un po’ della mia ironia. Una
provocazione, peccato che hai lasciato la musica. Eri bravissimo con la
chitarra e molto creativo. Ho raccontato di te a Tom durante il viaggio in
treno dalla Central do Brasil alla Estação da Luz. Lui era un po’
ansioso, agitato, preoccupato. È la prima volta che viene a São Paulo
per suonare, è la sua prima tournee' e lo conosco solo da una settimana. Ma è
così bravo che in una settimana già capisco che sarà uno dei grandi musicisti
della nostra musica. Vedi, una settimana già è sufficiente per fidarsi di una
persona.
Allora Pixinguinha, con un sorriso ancora più
ironico si girò verso Tom e gli raccontò una storia.
- Tom, ti racconto una storia. Una volta,
più di trent'anni fa, io venni a fare i miei primi concerti a São Paulo
ed accadde una grande coincidenza: venne con me un ragazzo più o meno della tua
età che conoscevo solo da una settimana, come te. Era un giovane ragazzo appena
arrivato dalla Sardegna, da Cagliari, e suonava benissimo la chitarra, faceva
un bello swing con la mano destra, era una bossa diversa, una bossa
nuova, un ritmo che dopo chiamarono Samba, il suo nome era Samuele
Basciu e tu hai adesso il piacere di conoscere questa persona importante
-
Non esagerare Pixinguinha,
io non suonavo così bene, tanto che ho trascorso la mia vita negli affari, nei
negozi e non nella musica. La musica l'ho lasciata indietro
-
Non era la musica che volevi
lasciare indietro, Samuele, era l’amore. Il tuo problema è che hai confuso la
musica con l’amore. Un uomo deve saper separare la musica dall’amore. Si deve
fare musica con amore e l’amore con la musica, ma le due cose devono camminare
in vite parallele, in vite diverse. Si lascia un amore per la musica ma non si
lascia la musica per un amore. O forse due amori nel tuo caso, Samuele. Hai
lasciato Cagliari per causa di un amore, hai lasciato Rio de Janeiro per causa
di un altro amore e ha lasciato la musica per causa di due amori
-
Per parlare d'amore, hai
notizie di lei?
- Lei e Tia Ciata sono morte, con pochi
giorni di differenza, d'influenza nella pandemia che c'è stata a Rio de Janeiro
nel 24. Vostro figlio oggi è un grande sambista rinomato in città. Io sono
andato con João Batista alla vecchia casa di Tia Ciata prima che fosse demolita
per la costruzione della nuova Avenida Rio Branco. La Praça Onze
è totalmente cambiata, tu non la riconosceresti mai e la casa di Tia Ciata non
esiste più, purtroppo nemmeno il suo cortile, che avrebbe dovuto essere
protetto come patrimonio storico dell'umanità. O almeno della storia della
nostra vita, Samuele. Ti ho portato due cose che ti appartengono. Questa
chitarra che era nella casa di Tia Ciata e questa cartolina della spiaggia del
Poetto che è arrivata per me, a casa mia, non so come.
Samuele
guardò la chitarra, nella custodia c'era scritto SAM BA, con la calligrafia di
Donga, era la prova che la chitarra era la sua, era la prova che il samba era
nato nel cortile di Tia Ciata quella sera indimenticabile in cui il presidente
del Brasile aveva autorizzato la festa d'arrivo di Samuele. In quel momento una
lacrima scese dai suoi occhi e ci fu un momento di silenzio in cui Pixinguinha
e Tom lo ammirarono. La cartolina con una foto più recente della spiaggia del
Poetto, irriconoscibile, piena di turisti, era sopra il tavolo. Samuele non
vide che aveva qualcosa scritto dietro. Tom Jobim chiese a Samuele:
-
Per favore, suonaci qualcosa
-
E' tempo che non suono, da
quando sono venuto ad abitare a São Paulo. Ma poiché ho visto quella foto della
spiaggia del Poetto, ti faccio sentire una musica che ho scritto per una
ragazza bellissima, che, seduto ad un tavolo esterno al bar, vedevo passeggiare
in cammino verso il mare. Lei si chiamava Roberta Garau e la musica si chiama
“La Ragazza del Poetto”.
Swing e sole nei tuoi passi
Ragazza del Poetto che passi
Se ti accorgessi
Di ogni singolo "Eja"
Tu prosegui per la strada
Un lungo samba che sinuoso
Ondeggia piano
Destando un coro di "Eja"
Oh, se per me rallentassi
Oh, se per me ti voltassi
Se la mia voce ascoltassi
Ma per te importante non è
La musica scritta per te
Basterebbe mi notassi
Ragazza del Poetto che passi
Ma non consideri mai
Il mio amore per te
Tom ascoltò quella canzone con molta
attenzione, gli occhi brillavano, era incantato. Rimasero per ore suonando
insieme diverse canzoni che Pixinguinha e Samuele facevano insieme nel cortile
di Tia Ciata, incluso “Pelo Telefone”, la musica composta da Samuele,
con testo collettivo di tutti quelli che erano nel cortile di Tia Ciata quella
sera e che Donga aveva registrato come sua il giorno dopo. “Pelo Telefone”
oggi è considerato come il primo Samba registrato ed è un punto fermo
nella storia del Samba.
Alla fine della serata Samuele diede un
lungo abbraccio al suo amico Pixinguinha e regalò la sua vecchia chitarra a Tom
Jobim. Quel violão era il “Santo Graal del Samba”. Senza che nessuno si
accorgesse, per errore, la cartolina andò dentro la custodia senza che Samuele la leggesse.
Da
quel giorno non si ebbero più notizie di Samuele. Scomparve. La sua casa e le
sue proprietà si fusero con le ricchezze dei Matarazzi. Non si sa dove è
sepolto. Non ha lasciato un testamento, non ha lasciato una lettera, non ha
lasciato nessuna informazione.
Il
figlio di Samuele e Chica è Bucy Moreira che Samuele mai aveva immaginato
essere suo figlio sino a quando Pixinguinha raccontò della morte di Chica. È
diventato un grande percussionista e sambista a Rio de Janeiro, conosciuto
principalmente per essere il nipote di Tia Ciata.
Dopo la morte di Tom Jobim, nel 1994, è stata ritrovata in un cassetto del suo appartamento a New York una cartolina della spiaggia del Poetto dove dietro era scritto:
“Caro
amico Samuele Basciu,
da
noi va tutto bene, vogliamo dirti che con la barca che abbiamo preso da te
abbiamo fatto un'impresa di pesca e fino ad oggi viviamo molto bene qui in
Sardegna. Siamo contenti.
Un ebreo chiamato Fred Figner è passato
in viaggio qui a Cagliari, dicendo che veniva da Rio de Janeiro, aveva
una casa discografica e faceva ricerche sulle origini della musica sarda e ha
parlato di Pixinguinha e di te. Dice che non aveva più tue notizie. Scriviamo a
Pixinguinha con la speranza che la lettera arrivi un giorno a te.
Prima
di tutto una notizia triste, Roberta Garau è morta di una malattia sconosciuta,
un paio di anni dopo la tua partenza. Lascia una figlia chiamata Samanta
Basciu. Si, è esattamente questo il suo cognome. Lei doveva sposarsi con
Riccardo Murru ma il matrimonio è stato cancellato perché quanto più si
avvicinava la sua data, maggiore era la pancia di Roberta e Riccardo Murru non
aveva avuto rapporti con lei. Non c'è stato modo di nasconderlo fino a che
Roberta ha ammesso che la figlia era tua, quando la figlia è nata ha chiesto di
usare il tuo cognome.
Samanta
è cresciuta senza papà e praticamente senza la mamma che è morta quando aveva
più di un anno, è stata cresciuta dai nonni materni. Lei ha appena compiuto
trent'anni e ha cercato noi due per sapere del padre. Ha scoperto che eravamo
amici. Dice che vuol conoscere suo padre, per questo ti scriviamo. Se questa
lettera ti arriverà sappi che tua figlia ti cerca. Lei è una bella e brava
ragazza, sposata con due figli. Samanta Basciu è una famosa pittrice. Oggi, qui
in Italia, sono molto apprezzati i quadri che hanno la sua firma: SAM BA.
Un abbraccio dai tuoi amici,
Marco
e Marcello”